BARI. Le direzioni del racconto. COMPAGNIA DIAGHILEV. “Si faceva chiamare Giovanni” scritto e diretto da Elisabetta Aloia un progetto sulla narrazione letteraria

BARI. Le direzioni del racconto. COMPAGNIA DIAGHILEV. “Si faceva chiamare Giovanni” scritto e diretto da Elisabetta Aloia  un progetto sulla narrazione letteraria

Oggi, giovedì 24 novembre, ore 21. AUDITORIUM VALLISA. In collaborazione con il Comune di Bari Assessorato alle Culture. Venerdì 25 novembre ore 21, spettacolo ENZO MOSCATOCompleanno”, dedicato alla memoria di Annibale Ruccello. Testo e regia di Enzo Moscato, scena e costumi di Tata Barbalato, voce su chitarra di Salvio Moscato

L’omaggio ad Annibale Ruccello di Enzo Moscato, con lo storico spettacolo «Compleanno», in programma venerdì 25 novembre (ore 21), segna la programmazione dei prossimi giorni alla Vallisa di Bari delle «Direzioni del Racconto» (biglietti 10 euro, informazioni e prenotazioni 3331260425).

La rassegna di teatro di narrazione letteraria, organizzata dalla Compagnia Diaghilev in collaborazione con l’Assessorato alle Culture del Comune di Bari e il sostegno della Regione Puglia, intanto prosegue giovedì 24 novembre (ore 21) con «Si faceva chiamare Giovanni», pièce scritta, diretta e interpretata da Elisabetta Aloia dal trattatello del medico Giovanni Bianchi, una specie di novella decameroniana in cui si racconta la storia di una donna che sino alla sua morte tutti credevano essere un Don Giovanni, dunque un uomo particolarmente sensibile al fascino femminile.

Quindi, venerdì 25 novembre (ore 21), sempre in Vallisa, il ritorno in Puglia di Enzo Moscato con «Compleanno», spettacolo presentato alla Casa dei Doganieri di Mola di Bari esattamente vent’anni anni fa: un lavoro straordinario, un’esemplare prova d’artista che resiste nel tempo a distanza di trent’anni, tanti quanti ne sono trascorsi dal debutto. Uno spettacolo che è diventato un punto di riferimento nella storia del teatro contemporaneo, scritto, diretto e interpretato da uno degli autori e attori più significativi della nuova scena partenopea e italiana, erede di Viviani ed Eduardo. 

Dedicato alla memoria di Annibale Ruccello, giovane drammaturgo tragicamente scomparso nel 1986, anno in cui Moscato mette in scena per la prima volta «Compleanno», il testo sviluppa il doppio tema incrociato dell’assenza e del delirio, intesi entrambi come produzioni fantasmatiche fatte di parole, suoni, visioni e gesti mirate a colmare il vuoto, l’inanità dell’ esistenza e del teatro. Una specie di esercizio quotidiano del dolore, del controllo e di elaborazione della pulsione di morte, senza assumerne, però le condotte autodistruttive, ma sorridendone, talvolta godendone come una festa, un ciclico ricorrere di affinità elettive, di sconvolti e teneri ricordi.

«Emotivamente ho sempre “rifiutato” la morte di Ruccello», scrivea Moscato. «L’ho rimossa, negata, sin dai primi istanti successivi alla incredibile, terribile notizia, datami per telefono quella sera del 12 settembre 1986. E questo rifiuto, questa rimozione, questa negazione del suo svanire fisicamente dal mondo e da Napoli (che, in verità, non l’ha mai amato, come non ama nessuno che voglia cambiarla o aiutarla a cambiarsi) continua a persistere in me, ancora tuttora, con una caparbietà e una tenacia infantili che, sono certo, dureranno fino a che avrò respiro, fino al giorno in cui anch’io, suo amico e suo complice a teatro, sarò chiamato a raggiungerlo là dove credo si è rifatto un’altra bella carriera.

Qualcosa di avventuroso, ma che nulla ha a che fare coi teatranti. Me lo immagino ora, un trafficante d’armi, come Rimbaud dopo la grande stagione all’inferno della sua poesia, o cacciatore di tenebre esotiche, come i migliori eroi di Conrad».

«Questa persistenza della vita di Ruccello in me – prosegue Moscato – oltre e nonostante la morte, questa specie di “Malombra” ma senza compiacimento letterario, è da ascrivere senz’altro all’onnipotenza magica, annullatrice del reale, di uno schizofrenico, certo; ma anche all’intima, differente natura di quelle enigmatiche creature che, per convenzione, chiamiamo artisti, e che non si arrendono mai (non dovrebbero arrendersi mai) neppure davanti alla più evidente bruttura del reale, al più spietato tradimento del nostro puerile, ma sublime, sogno di eternità. Eternità da guitto, è logico. Tutta fintoni, cantinelle, mezze quinte, carta pesta».

«Qualcuno – conclude Moscato – troverà che sragiono, ma per me è naturalissimo che io viva così, ancora a tutt’oggi, quel geniale fanciullone; quel candido e, allo stesso tempo, perverso estensore di storie ispirate al ‘camp’, alla novellistica nera, ai ‘cult-movies’ americani, innestandoli sul grande tronco della letteratura verista o naturalista meridionale, imbrattandoli, di continuo, con la sua fecale, irriverente, martellante lingua tutta vesuviana. Trovo naturalissimo conservarlo nelle parole che batto a macchina, nei gesti che traccio sulla scena, nelle volute della voce tesa ad accendere inquiete interrogazioni negli orecchi di chi ci viene a guardare o a ‘sentire’ a teatro».

 Posto unico non numerato € 10,00.

Informazioni e prenotazioni tel. 3331260425

addetto stampa

Francesco Mazzotta 

viv@voce

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