Taranto. PROCESSO ILVA AMBIENTE SVENDUTO

Taranto. PROCESSO ILVA AMBIENTE SVENDUTO

Domani, dunque, si saprà quanti e quali tra politici, amministratori pubblici, industriali, funzionari ministeriali e regionali, professori universitari ed esponenti del clero e delle forze di polizia coinvolti nella maxi inchiesta sul siderurgico meritano il processo

Dopo quasi dieci ore di discussioni interrotte da brevi pause, l’attesa sentenza che dovrà decidere il rinvio a giudizio o l’archiviazione per l’ex presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola ed altri 46 imputati dell’inchiesta «Ambiente svenduto», sul presunto disastro ambientale dell’Ilva di Taranto, è stata rinviata a giovedì prossimo.

Lo ha deciso avanti ieri, poco prima delle venti, il gup Vilma Gilli accordando un supplemento di repliche alla difesa dell’imputato Luigi Capogrosso, ex direttore dello stabilimento siderurgico di Taranto. Domani, dunque, si saprà quanti e quali tra politici, amministratori pubblici, industriali, funzionari ministeriali e regionali, professori universitari ed esponenti del clero e delle forze di polizia coinvolti nella maxi inchiesta sul siderurgico meritano il processo.

Sempre in quella data il gup dovrà emettere le sentenze nei confronti di cinque imputati che hanno chiesto di essere giudicati con il rito abbreviato evitando così il dibattimento.

Oltre a Vendola, gli altri personaggi importanti, dal punto di vista mediatico e del ruolo avuto nella vicenda, per i quali la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio, sono i fratelli Nicola e Fabio Riva, figli di Emilio, accusati insieme all’ex direttore Capogrosso di associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale.

Rischiano il processo anche l’ex presidente della Provincia di Taranto, Gianni Florido, il sindaco di Taranto, Ezio Stefano, il direttore generale dell’Arpa Puglia, Giorgio Assennato, il consigliere regionale della Puglia, Donato Pentassuglia, l’ex consigliere regionale pugliese Nicola Fratoianni, oggi deputato di Sel.

I momenti più salienti della calda giornata di ieri (non solo climatica), sono stati quelli in cui hanno preso la parola, per rilasciare dichiarazioni spontanee, il direttore di Arpa Puglia, Giorgio Assennato e l’ex assessore regionale all’Ambiente, Lorenzo Nicastro, entrambi accusati di favoreggiamento personale a favore dell’ex presidente della Regione.

Il numero uno dell’agenzia per l’ambiente, che secondo l’accusa avrebbe nascosto la circostanza in cui Vendola lo avrebbe costretto ad ammorbidire le misure sull’inquinamento sconvenienti alla società dei Riva, ha detto in aula di essere stato convocato un giorno da Vendola, ma di non ricordare il giorno preciso.

«Aspettai molto e poi alla fine avvisai che andavo via», ha detto Assennato che ha sempre smentito di essere stato «manovrato» dal presidente Vendola. Secondo la Procura di Taranto, invece, proprio in quella circostanza Assennato sarebbe stato lasciato attendere volutamente fuori dalla porta del governatore e che fu ammonito da un funzionario regionale, su incarico dello stesso Vendola, per i suoi atteggiamenti troppo duri nei confronti dell’Ilva. 

«Non c’è stata alcuna arrendevolezza né da parte mia né da parte degli uffici che dirigo; ho sempre mantenuto la schiena dritta a favore della salute dei cittadini», ha detto Assennato parlando alla giudice.

Ha smentito tutto anche l’allora assessore all’Ambiente Nicastro che secondo l’accusa era presente alla riunione in cui, davanti ad altri componenti della giunta, anche loro imputati per favoreggiamento, Vendola avrebbe espresso giudizi sprezzanti nei confronti di Assennato («così com’è l’Arpa può anche andare a casa»). 

«Non è vero che ho negato, ho detto che non avevo memoria della presenza» (di Assennato, ndr). «L’avevo già detto anche alla Guardia di finanza quando ero stato sentito come persona informata sui fatti e, nonostante i miei 30 anni di magistratura, non avevo capito che stava per scattare la tagliola», ha detto l’ex assessore e magistrato in aspettativa. Assennato è uno dei cinque imputati che hanno chiesto di essere giudicati con il rito abbreviato.

Ore d’attesa anche per la società Ilva commissariata che aveva proposto un patteggiamento di pena respinto dalla Procura perché ritenuto incongruo il prezzo da pagare pari ad una multa di 3.098.000 di euro, la non applicazione dell’interdizione dell’attività e la confisca della somma di 9.760.000 euro.

L’unico che attenderà la sentenza in carcere è Fabio Riva, primogenito della famiglia milanese, già vicepresidente della società leader del gruppo, «Riva Fire», che ai primi di giugno si è consegnato all’autorità giudiziaria italiana dopo oltre due anni e mezzo di latitanza trascorsi a Londra.

Il figlio di Emilio Riva, patron dell’Ilva deceduto ad aprile del 2013, è rinchiuso nel carcere di Taranto.

 

Nazareno Dinoi sul Corriere del Mezzogiorno – Corriere della Sera

 

 

 

 

 

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