Aldrovandi, poliziotti condannati tornano in servizio. Silenzio dal Viminale

Aldrovandi, poliziotti condannati tornano in servizio. Silenzio dal Viminale

I poliziotti condannati per la morte di Federico Aldrovandi stanno tornando in servizio dopo aver scontato sei mesi di detenzione e il periodo di sospensione. Uno dei quattro, Paolo Forlani non rientrerà perché da tempo in cura per una “nevrosi reattiva”, Moretti a ilfattoquotidiano.it: “Sono il simbolo dell’impunità”

Stanno tornando in servizio i quattro agenti che hanno ucciso suo figlio e lei, Patrizia Moretti, la madre di Federico Aldrovandi, non sa nemmeno il perché. I vertici della polizia hanno negato al suo avvocato l’accesso agli atti per conoscere le motivazioni dei provvedimenti disciplinari che hanno inflitto sei mesi di sospensione dal servizio per i quattro poliziotti pregiudicati.

“Perché, ci hanno detto che ai sensi di legge non siamo ‘diretti interessati”. Dopo i sei mesi di detenzione e l’uguale periodo di sospensione due di loro – Monica Segatto e Luca Pollastri – sono già rientrati in servizio, scaduto il tempo dei mesi di sospensione decisi dalla disciplinare. Un terzo, Paolo Forlani, è stato reintegrato ma non tornerà per il momento in servizio, perché da tempo in cura per una “nevrosi reattiva”, dovuta “alle vicende del processo e a tutto quello che ha vissuto – come spiega il suo legale Gabriele Bordoni -, con grande dolore, anche per la morte del ragazzo”. Enzo Pontanidovrebbe ritornare in servizio a breve (per lui i tempi iniziano a decorrere un mese dopo rispetto ai colleghi per via del diverso iter giudiziario, ‘rallentato’ a causa di un difetto di notifica).

E la madre di Federico si sente “umiliata, mortificata”. Vuoi perché si sarebbe aspettata una chiamata da parte della Polizia o del ministero dell’Interno, vuoi perché “nonostante tutta questa lotta basata su un’esigenza di giustizia per cercare di cambiare il mondo, ti accorgi che le cose non cambiano. Arrivano la manifestazioni di vicinanza e di solidarietà dei politici ma non cambia nulla”. Ultima in ordine di tempo fu la Cancellieri, allora al Viminale, a promettere “pene esemplari” contro “le mele marce” all’interno della polizia. “Si era in parte impegnata a seguire attentamente la vicenda, poi ha cambiato ministero. Il problema è che cambia politico e non c’è più modo di proseguire il dialogo e non hai più un interlocutore”.

Prima di lei lunga è stata la schiera di politici, ministri, Presidenti della Camera e sottosegretari che hanno ricevuto lei e suo marito Lino Aldrovandi. Da Bertinotti ad Amato, da Manconi a Manganelli. Alle parole però non seguirono i fatti. E nemmeno le parole sono arrivate in questi otto anni (Federico morì il 25 settembre del 2005) dai quattro agenti, che non hanno mai cercato di contattarla: “Mai, mai assolutamente”. Quanto al fatto che non sia possibile la destituzione dalla polizia per condanne per reati colposi, la madre di Federico ribadisce quanto lei e il padre, Lino Aldrovandi, hanno sempre sostenuto: “in tutte le sentenze che si sono succedute, in particolare la prima, hanno sancito che non è stato possibile arrivare ad una pena maggiore a causa degli insabbiamenti dei colleghi. Io ho letto il regolamento della polizia – rimarca -: la radiazione (destituzione, ndr) anche è prevista per il disonore alla divisa. E questo per me è alto tradimento. Basta leggerle le cose, basta volerle applicare, per me gli appigli ci sono. Ma forse non vogliono farlo”. “Qui non ci siamo solo noi – è la sua conclusione – ma è una questione che riguarda tutti, riguarda quello che decide di fare una istituzione di fronte ad una condanna per omicidio”.

Ora, a conti fatti, con il reintegro dei poliziotti, Moretti chiede “che almeno io non debba più vederli, che quelle persone non possano più salire sopra una volante”. Perché “anche loro, come Federico e per motivi opposti, sono diventati un simbolo. Il simbolo dell’impunità”.

Marco Zavagli 

FONTE

ilfattoquotidiano.it

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