MANDURIA. Marescotti: “Ecco dove finiva la diossina dell’Ilva”

MANDURIA. Marescotti: “Ecco dove finiva la diossina dell’Ilva”

Il presidente di Peacelink porta le prove

Tutte le polveri di diossina prodotta dagli elettrofiltri del famigerato camino E312 dell’Ilva, finivano a Manduria. La notizia, sinora confidenziale, è contenuta nella parte secretata dei verbali di audizione della commissione bicamerale d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti tenuta nella Prefettura di Taranto l’11 marzo scorso.

A parlare, chiedendo il riserbo, è stato il presidente dell’associazione ambientalista Alessandro Marescotti che ha fornito i particolari di un’oscura vicenda che risale ad un periodo antecedente il 2005, quando la composizione e la pericolosità di quelle polveri non erano ancora note.

Tranne ovviamente agli addetti ai lavori e ai responsabili ai vari livelli del siderurgico che per smaltire quelle diverse tonnellate di diossine, contenute nei sacchi di tela-plastica, i big bag, si affidavano ad un’azienda manduriana.

A rivelare a Marescotti l’esistenza di questo inquietante traffico, fu un dipendente Ilva che aveva il compito di controllare il carico dei big bag sui grossi camion che periodicamente lasciavano lo stabilimento con il loro pericoloso carico.

Nel racconto, coperto dal segreto istruttorio (la commissione bicamerale d’inchiesta ha funzioni investigative di polizia giudiziaria), l’ambientalista ricorda la visita di un operaio Ilva che si presentò nella sede dell’Ail, l’associazione contro le leucemie sede di Taranto, con delle foto che mostravano camion carichi di big bag prelevati da un deposito dell’agglomerato Ilva dove venivano svuotati gli elettrofiltri del camino E312 con l’emissione di diossina più imponente d’Europa.

Quell’operaio raccontò di aver chiesto all’autista quale fosse la destinazione delle polveri  e che la risposta fu «Manduria».

«Tengo a precisare di aver raccolto quella confidenza che ho poi riportato ai commissari che mi hanno udito», precisa il presidente di Peacelink che in quella sede riportò molti particolari in più come le generalità dell’operaio che gli aveva raccontato quei fatti ed anche il nome dell’azienda manduriana dove erano destinati quelle grosse buste di polvere di diossine.  

Da qualche parte, insomma, c’è il nome di chi ha denunciato quei fatti a Marescotti ed anche l’indirizzo dove i veleni sarebbero stati stoccati, sicuramente non in maniera legale se si considera che a Manduria non esistono siti idonei ad accogliere rifiuti di quel tipo.  Che qualcuno si stia preoccupando di dare una spiegazione a questo traffico, non è dato ancora sapere.

Qualcosa la sapranno sicuramente i componenti della commissione bicamerale d’inchiesta che sono Alessandro Bratti, presidente e gli onorevoli Stefano Vignaroli (M5S), Stella Bianchi (Pd), Miriam Cominelli (Pd), Renata Polverini (Fi-PdL), Alberto Zolezzi (M5S) e i senatori Pietro Iurlaro (A-LA), Luis Alberto Orellana (Aut-Psi-Maie), Laura Puppato (PD) e Bartolomeo Pepe (Gal).

Che fine facesse tutta la diossina raccolta dagli elettrofiltri dei camini Ilva, è stato sempre uno dei crucci degli ambientalisti che in più occasioni hanno acceso i riflettori su possibili traffici illeciti di queste sostanze. Solo di recente a specifica domanda del sindaco di Taranto, Ippazio Stefano, l’Ilva ha forino la tracciabilità della diossina che va a finire  in un sito autorizzato al suo trattamento a Orbassano, in provincia di Torino.

 

Nazareno Dinoi

 

FONTE

lavocedimanduria.it

viv@voce

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