Red in Italy- quali sono i valori da salvare?

Red in Italy- quali sono i valori da salvare?

I valori di cui parlo non risiedono in un passato che solo per essere tale è sempre auspicabile. Tra i valori che voglio salvare ci sono il saper fare, quel know how che tanto è sbandierato ma poco protetto

Mi sono fatta la domanda del titolo, quali sono i valori da salvare, perché dopo averli nominati più volte negli articoli scritti per Vivavoce qualcuno s’inizierà a chiedere a cosa mi riferisco. Spesso si parla in modo generico di valori, senza spiegare nel dettaglio cosa intendiamo. Lo si intuisce dal discorso, ma è sempre meglio essere chiari, per primi con se stessi.

Così me lo sono domandato: “A quali valori faccio riferimento?”

Di certo non ho nostalgia della fame, del ruolo di uomo e donna nel vecchio modello di famiglia italiana, di tutte le difficoltà che i miei nonni hanno patito e che nessuno vorrebbe mai passare. Ho avuto la fortuna di avere un dialogo vivace con quella generazione, anche se saltuario, e questo mi ha permesso di non maturare una visione romantica di un passato vago.

La guerra ci ha spezzato l’anima, molte città italiane ne portano ancora i segni, se non nelle macerie, nei centri storici che da quel disastroso conflitto hanno perso la vitalità che le caratterizzava. La mezzadria, il latifondo, il lavoro in fabbrica senza tutele: nessuno rimpiange questi momenti della nostra storia comune.

I valori di cui parlo, allora, non risiedono in un passato che solo per essere tale è sempre auspicabile.

Tra i valori che voglio salvare ci sono il saper fare, quel know how che tanto è sbandierato ma poco protetto. Non è protetto quando avanzate industrie italiane sono vendute a gruppi stranieri, ma ancor peggio non è protetto quando tutto ciò che esce dalla tecnica industriale è considerato come folklore e mai preso sul serio.

Sto parlando di artigianato, quell’entità magica che dovrebbe salvare l’Italia insieme al turismo e al buon cibo − cioè l’agricoltura −, ma che nessuno si prende mai il compito di sostenere realmente, istituzioni e consumatori come sempre complici nel proclamare quello che poi non si fa.

È bello pensare all’artigianato italiano, alle botteghe, ai maestri che ci hanno resi famosi nel mondo, ma oggi chi vuole più i loro prodotti? Nessuno, spesso neanche chi ha i soldi per poterlo fare perché se non hai una cultura i soldi da soli non basteranno a dirigere con saggezza le tue scelte.

Credo che l’artigianato sia da salvare non perché penso che la tessitura industriale non valga quanto quella manuale, anche perché le industrie tessili italiane sono le migliori al mondo e custodiscono in loro un sapere unico. Né sento l’esigenza di salvare l’artigianato perché mio padre è fabbro e allora spero così di custodire un tesoro di famiglia, che in un modo o nell’altro è andato avanti per almeno quattro generazioni.

Sento l’urgenza di salvare l’artigianato perché la nostra conoscenza è un bagaglio non solo che ci fa belli alle fiere del settore, ma un filo ininterrotto con il passato che ci dice che strada abbiamo percorso.

E senza radici l’uomo tira a caso quando agisce, come mostrano situazioni immature e a volte ridicole che troviamo in altri Paesi, dove ci s’improvvisa facendosi chiamare artigiani o artisti, ma senza riuscire a fare un gesto davvero di valore perché non ci sono le giuste conoscenze alle spalle.

Sto maturando un’idea, che cerca di seguire l’esempio di Slow Food per il cibo e quello dei monasteri per il sapere in generale, luoghi che in passato hanno salvaguardato le nostre conoscenze in attesa di uno scenario migliore.

Non so se avrò la forza di fare quello che mi si sta delineando nella mente, ma ci proverò. Così dimostrerò con i fatti a cosa tengo, l’unico modo per essere credibili.

L’altro giorno guardavo un video dove lo scrittore Baricco parlava della nuova grammatica mentale della nostra società, della superficialità come nuovo modo di accedere alla conoscenza, contrapposta alla profondità, dei selvaggi che raggiungono quella conoscenza e che si sono sostituiti ai saggi. In altre parole il tema erano le nuove generazioni cresciute con internet. Egli parlava soprattutto del bisogno di distruggere il presente per ricrearlo.

Sono d’accordo su questo ultimo aspetto, ma questa nuova realtà ancora da costruire non è data né dal ritorno al passato, né dall’accettazione ineluttabile del presente.

È in una terza via secondo me, dove si procedere in modo istintivo come c’insegnano oggi, viaggiando su molti piani contemporaneamente, cercando però un valore che vada oltre lo slogan, capace di darci vere fondamenta. In questa terza via noi scegliamo la cosa più adatta dal grande calderone pieno d’opportunità che abbiamo a disposizione.

Ecco che io scelgo di scrivere un libro invece di chattare per dare valore a quel che dico, ma scrivo anche articoli settimanali, poco meditati e quindi superficiali, per tenere attivo il dialogo virtuale.

L’errore dell’uomo moderno è di pensare ancora che l’oggetto presente sia sicuramente il migliore e solo quello futuro possa sostituirlo. In realtà la cosa migliore è quella realmente migliore, che spesso è un ibrido creato dall’incontro tra passato e presente e che noi plasmiamo se siamo davvero interessati al nostro progresso.

Tornando ai valori e al mio progetto di fare qualcosa per comunicare quelli che per me sono importanti, come l’artigianato, questo è un momento molto fortunato della nostra storia se sappiamo scegliere: possiamo salvare mestieri antichi quanto l’uomo, con i loro simboli e riti, e unirli alle nuove conoscenze, magari di chi costruisce softwares e hardwares con la stessa cura di chi fa scarpe su misura; possiamo non interrompere la strada che ci ha portato sino a qui e utilizzare la comunicazione immediata per trovare subito il nostro interlocutore ideale nel mondo.

Tutto questo per salvare il meglio di ieri e di oggi, con l’unico obiettivo di creare un mondo pieno di contenuto, un Sapiens World, come mi viene da dire unendo l’immagine dell’Homo Sapiens, che impara a modellare il mondo intorno a sé e che non ha mai smesso di farlo, alla parola inglese World, che significa mondo e che subito rimanda al Web e ai suoi strumenti.

Ecco, il titolo è pronto, adesso mi manca di scriverci un libro di seguito e il primo mattone per contribuire alla salvaguardia del sapere pratico sarà da me deposto.

Dafne Perticarini

viv@voce

Lascia un commento