SAVA. Amarcord. C’è posta per te: Benito De Santis te la portava a casa!

SAVA. Amarcord. C’è posta per te: Benito De Santis te la portava a casa!

Quando il postino era una speranza per tutti …

Benito De Santis vive ed oggi ha 84 anni: i capelli bianchi, pochi per la verità, ma si mantiene ancora in ottime condizioni fisiche. Noi ragazzi savesi iniziammo a familiarizzare con lui nei primissimi anni ’60: ma Benito De Santis il postino lo ha sempre fatto, dal 1958 fino al 1994, per poi congedarsi dal servizio postale come dirigente di esercizio dell’ U.L.A. (Uffici Locali e Agenzia).

Iniziò a lavorare al telegrafo con il famosissimo linguaggio “Morse” (quello che faceva punto-linea-linea-linea punto ecc..), poi iniziò a svolgere il proprio lavoro al di fuori dell’Ufficio Postale, all’inizio portando la posta a piedi e poi, con autorizzazione ottenuta nel 1964, con la sua classica bicicletta “ti masculu” e il suo singolare campanello; allora l’Ufficio Postale (la posta) si trovava sotto i portici di Piazza Spagnolo Palma e l’utenza veniva divisa in due tronconi.

Il primo partiva dal Monumento dei Caduti di Piazza della Vittoria fino alla fine di Corso Umberto, il secondo, invece, dall’Elio Bar fino alla fine di Via Vittorio Emanuele: una nuova zona fu istituita nel 1958 a completare il lavoro delle due precedenti zone. Ogni giorno vedevamo Benito De Santis, con un fisico imponente e asciutto, che passava a orari sempre stabiliti e rispettati nelle nostre vie: lo trovavamo simpatico e lui , simpatia associata alla familiarità, ricambiava i sorrisi e i saluti quotidiani!

Benito era una speranza, non tanto per noi ragazzi della scuola elementare, ma quanto per le nostre mamme e per le nostre sorelle, per chi le aveva, abbastanza più grandi di noi! “Benì? Ncè niente ppi mmè?”

Questa era una delle classiche e ripetitive domande che le donne savesi dell’epoca facevano a Benito. Benito era una speranza economica e anche affettiva: economica perché nei periodi della pre-vendemmia portava alle nostre famiglie il sussidio statale della disoccupazione con la “straordinaria” cifra di £.40.000 : una cifra enorme per i nostri occhi vispi e attenti a leggere l’importo scritto su quei vaglia di colore verde chiaro!

Le 40.000 lire corrispondevano, occhio e croce, alle nostre attuali euro 2500,00 con la sostanziale differenza che allora quei soldi portavano un beneficio vitale nelle nostre case, abitazioni che quasi tutte erano fatte allo stesso modo, costituite da una stanza grande di “vintiquattru parmi”, da un corridoio che portava allu uertu con al fianco la stanza dei nostri genitori: fuori  vi era la classica paiera e la stadda.

Oggi con euro 2500,00 ci possiamo togliere qualche problema di “binchiamientu” ma allora “binchiamientu” nnò nccì nnera, e quiddi erunu tutti! Benito era anche una speranza “affettiva” per le ragazze savesi: moltissime di loro avevano lu zitu al nord Italia o all’estero: Milano,Torino, Zofingen, Amburgo, erano le più famose mete degli emigranti savesi.

Benito portava le lettere dei fidanzati alle fidanzate, le quali  aspettavano ansiose notizie degli innamorati; qualcuna, per non farsi accorgere dai genitori della corrispondenza, aveva la complicità di qualche amica che si metteva a disposizione facendosi recapitare lei le lettere per poi darle alla amica e scalpitava di gioia appena  la vedeva arrivare con la lettera in mano!  

I loro occhi erano spesso gonfi, dopo aver letto la lettera ti lu zitu, e non sempre riuscivano a nascondere lo stato di disagio emotivo che avevano appena provato! Che tempi! Chissà come si vedevano le ragazze savesi proiettate in un mondo lontano da Sava!

Sicuramente si vedevano lontane dalla casa natia, magari inserite in un grande contesto socio-economico, con tanti negozi e vetrine da guardare, con una famiglia e dei figli che potevano anche imparare a parlare l’italiano!

Si vedevano spesso dal parrucchiere a curare i loro  bei capelli o magari a cambiare anche taglio, a truccarsi con rimmel e phard vari per farsi “belle”, a passeggiare con il marito lungo i viali freddi del nord, con alberi spogli specie nel periodo invernale, mentre i bambini giocano nel grande parco e magari prendendo l’accento nord-italiano o parlando la lingua straniera!

La famiglia era il sogno, la massima aspirazione della loro vita, si vedevano mamme e mogli al tempo stesso, e questo sogno lo vedevano più vicino se fosse stato  lontano da Sava!

I nostri giochi per strada erano molto modesti: a mazza unu, cu lu perruculu cu lazza fina, sobra a nterra e scinni a nterra abbasciu, cu li cincu petri e aspettavamo con ansia la domenica mattina per il classico pani cuettu, aromatizzato da alloro e accompagnato da una goccia d’olio.

Le nostre letture si finalizzavano, oltre ai testi scolastici, al Grande Blek con Doppio Ruhm e a Capitan Miki con al fianco sempre il Dottor Salasso: le figurine dei calciatori cominciavano a muoversi tra le nostre mani e iniziavamo a riempire i nostri sguarniti album di raccolta. Benito De Santis era lì a  vedere i cambiamenti del nostro paese: le strade tutte rotte, l’asfalto era un lusso che avevano solo le strade principali, e lui con la sua bicicletta a evitare le buche con l’ acqua piovana che riempiva a volontà tutte le pozzanghere stradali!

Pochissimi marciapiedi, le botole delle cantine erano quasi sempre a livello di superficie di calpestio e le incessanti piogge di quei tempi  allagavano spesso e volentieri le nostre cantine! Quando pioveva eravamo così felici, scalzi e con i piedi a “nuotare” nell’acqua, ci avventuravamo verso Piazza San Giovanni e la vedevamo allagata: uno spettacolo per noi, non molto per chi doveva svuotare tutta l’acqua dalle proprie case!

La grandine era sempre dietro l’angolo: minacciosa e temuta dai nostri contadini! Sava era questo a quell’epoca: il Centro Siderurgico tarantino non aveva ancora preso a funzionare! Anche Benito De Santis è stato per noi savesi una speranza e un sogno: andare via da Sava!

Ciao Benito, un  saluto anche alla  tua immancabile bicicletta!

Giovanni Caforio

viv@voce

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