I mitili tarantini: dalle glorie della gastronomia internazionale alle procedure d’infrazione

I mitili tarantini: dalle glorie della gastronomia internazionale alle procedure d’infrazione

Brucia ancora la ferita inferta ai tarantini dalla distruzione dei mitili che, da tremila anni, hanno caratterizzato e reso famosa l’economia tarantina, proprio per l’unicità del prodotto

Impiantato nel decimo secolo, il Mitylus Galloprivincialis è una cozza che adagiata  su fascine di lentisco nei fondali, si sviluppa e le larve di molluschi vengono accostate ai citri,  sorgenti sotterranee carsiche di acqua dolce, caratteristiche della morfologia pugliese che hanno dato origine, infatti, alle gravine delle Murge.

Il più grande e celebre dei citri è quello di San Cataldo, avendo creato nel Mar Piccolo, le provvidenziali correnti sorgive di acqua dolce che sgorgano a 60 metri di profondità, in entrambi i mari. La cozza tarantina dunque, è sempre stata la migliore, perché poteva godere di questo ambiente particolarissimo sia per la presenza di acqua dolce che per l’assenza di correnti sottomarine. Per questo naturale stato di grazia, il primo seno del mar Piccolo, con i suoi migliaia di pali sistemati in acqua, rendeva onore alla gastronomia internazionale.

 Ma ecco che nel 2011, anche l’ultimo baluardo di secolare grandiosità, s’infrange contro una triste scoperta o realistica constatazione: le analisi riportano la presenza di diossina e pcb (policlorobifenili), due pericolosi inquinanti di origine industriale nelle cozze. Da sempre, i lavori di cantieristica dell’Arsenale della Marina Militare, con i  trasformatori di energia elettrica delle navi e l’Ilva, con  l’idrovora che aspira l’acqua proprio dal Mar Piccolo, per  raffreddare il proprio l’impianto industriale, alterando però la temperatura del mare, hanno prodotto danni irreparabili.

Fatto sta che i miticoltori, in due anni, hanno mandato al macero un prodotto per 8 milioni di euro; dal 2011, migliaia di tonnellate sono state distrutte per i rimandati trasferimenti. Sì, perché dopo secoli, si è costretti ad abbandonare il primo seno del Mar Piccolo; nel secondo seno non c’è spazio. Allora, occorre e si decide che le cozze vengano comunque impiantate nel Mar Piccolo, poi raggiunta la dimensione di un centimetro oppure un centimetro e mezzo di grandezza, siano trasferite in Mar Grande, per completare la crescita senza assorbire inquinanti.

Ma da allora, la sete di giustizia diventa grande, perché è l’ennesima catastrofe sull’ambiente, sulle persone e sull’identità di esse.

Il 23 ottobre, due mesi fa, il comitato Legamjonici ha riferito alla Commissione Europea, dell’esistenza di uno studio che prova la responsabilità dell’Ilva sulla contaminazione dei mitili del primo seno di Mar Piccolo. Viene integrata, così, una denuncia già presentata sull’inquinamento del mare. Nella relazione, il superamento dei valori di IPA, PCB e diossine nei sedimenti e nel canale di scarico in Mar Grande dell’Ilva e  la provenienza di diossine, PCB e furani, dai processi siderurgici, erano evidenti.

Legamjonici, afferma che, nello studio, appare evidente che il flusso d’acqua degli scarichi ILVA in Mar Grande, connesso all’effetto dell’ idrovora ed al suo prelievo dell’acqua dal Mar Piccolo, influenza certamente il movimento delle acque di tutto il bacino. Dunque si determina, così, la possibilità che gli inquinanti scaricati nel canale, arrivino, tramite l’effetto del vento e delle maree, in 15 giorni nel Mar Piccolo, contaminando le cozze.

 La Commissione Europea, il  13 dicembre, ha inviato una comunicazione all’associazione, manifestando la propria continuità d’attenzione nei confronti della “questione Taranto” e ribadendo,  di avere già avviato a carico del governo italiano una procedura di infrazione; la Commissione garantisce di  verificare la corretta applicazione della pertinente normativa ambientale UE con riferimento all’Ilva di Taranto. Quindi le informazioni trasmesse da Legamjonici saranno prese in considerazione nell’ambito della procedura d’infrazione avviata.

MARIA LASAPONARA

viv@voce

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