Suicidi a Taranto. Lettera di un padre: “Mia figlia si è tolta la vita nell’indifferenza, la verità è che questi giovani sentono di non avere un futuro”
La testimonianza di un genitore al giornaleditaranto.com
Egregio direttore del Giornale di Taranto, sono Andrea Iaia, genitore di Alessandra, che si è tolta la vita in quella nefasta sera del 22 aprile e, quanto mai, vicino al dolore dei familiari, perchè so come ci si sente, e non come chi propone a destra e a manca palliativi destinati a fallire. Oltre al dolore di un figlio che non c’è più, dobbiamo sopportare lo sconcerto di chi ci mette la buona volontà di fare cose che in realtà non hanno nulla di risolutivo e sono destinati a fallire.
Senza la testa non si va da nessuna parte, e leggo che l’Asl vorrebbe scendere in campo con un telefono rosso. Per fare che? Il suicida dovrebbe prenotare una seduta psicologica e sentirsi rispondere, faccia la richiesta, che il mese di Pappagone la prenotiamo e ci porti 47 e spiccioli di euro per ascoltarla?
Per una postazione fissa del 118, in modo che il suicida vada dal lato opposto ad ammazzarsi? Per mettere una persona di guardia 24 ore su 24?
E la folle idea della Marina? Che vorrebbe innalzare una rete di protezione, che solo quello sa fare, cioè innalzare muri e veti e ha reso questa città una gabbia dorata solo per i suoi interessi e non fa nulla di concreto se non ascoltare una banda all’ammaina bandiera solo per coccolarsi?
Smettiamola di dire cose insensate e pensiamo seriamente al da farsi, partendo a monte dei problemi di questa città da veri uomini e non da “mezzi”. Perché mezzi uomini sono tutti coloro che propongono e non fanno mai nulla di utile per capire il problema.
Anche tu, mezzo sindaco, hai le tue colpe, come le hanno i mezzi busti della Marina. Ti do’ del tu, perché ci siamo conosciuti per una iniziativa di un progetto e ti spiegherò dopo il perché uso il termine mezzo sindaco.
In città c’è un grande disagio e si fa finta di valutarlo, mentre di cose se ne possono fare, a partire dal domandarsi, perché scelgono di farla finita in un punto che è un simbolo della città. E non ci vuole lo psicoterapeuta con le sue analisi a capirlo: quel monumento non appartiene alla città ma è chi se ne è appropriato.E’, in pratica, un luogo simbolico. Quando mia figlia si è lanciata, malgrado a 10 metri ci fosse una tenda di lavoratori di una ditta di pulizia che protestavano per un mancato rinnovo di contratto, nessuno ha visto niente, tutti ad occuparsi dei fatti loro e l’indifferenza paga. Ma, non voglio incolpare alcuno e la mia voce che può sembrare offensiva non è rotta dal dolore, ma dal bisogno di chi vuol fare veramente qualcosa. La speranza insomma per questi giovani.
Torniamo a monte del problema: il tarantino si sente escluso non solo per la mancanza di un lavoro, ma anche perché bloccato da veti assurdi. E allora, visto non non può andare ad togliersi la vita davanti ai colossi industriali che già ce la tolgono con l’inquinamento, scelgono il simbolo della città.
Che si può fare? Togliere il monumento che anziché del marinaio è diventato quello del suicida? No! Però. Io da semplice genitore un’idea l’avrei e lancio il sasso in mare per alcune iniziative che dovrebbero partire da te mezzo sindaco. E non ti sto attaccando, ma voglio che ti rivaluti come sindaco intero e che chi ti ha votato sappia che stai facendo qualcosa.
Per ora, sei assente ingiustificato, occupandoti di cose inutili.
Domandati quanti tarantini lavorano nei colossi industriali: pochi, anzi, pochissimi perché i posti sono tutti occupati dai cosiddetti forestieri che arrivano dappertutto. E non è un filo illogico razzista il mio, ma una soluzione! Perché quando deliberi un appalto, devi metterci la condizione che chi lo vince, deve attingere personale della città e non che una ditta di fuori si porta tutto il paese a lavorare e il tarantino resta al palo!
Non me ne vogliano i forestieri che sono gente per bene e che stimo. Ma vedo ditte appaltatrici di altri luoghi che si portano le loro risorse e… francamente, siamo stufi di vederci oltraggiati!
Tu vieni a lavorare nella mia città! Occupi la mia città ed è giusto che le forze siano distribuite in modo da favorire l’occupazione dei tarantini. Altrimenti, l’appalto è nullo, passa ad un altro. E vale anche per te industriale: se occupi il territorio, quelle sono le condizioni. Altrimenti, vai altrove! Siamo stufi di chi violenta la città e non utilizza le risorse della città. Come il monumento ai marinai, anche il monumento dedicato al bicentenario dei Carabinieri… Che senso ha? Potevi dedicarlo al Capitano Basile morto per la mafia, oppure ordinare un’altra scultura dedicata al simbolo vero di Taranto che è il pescatore con una grande nassa o alla cozza tarantina!
E invece… dà lavoro un monumento? Danno lavoro i lustri e gli sfarzi solo per apparire? Ecco perché sei mezzo sindaco e non volermene, ripeto, ti sto dando l’occasione per diventare un sindaco intero. E tu, Marina, invece di occuparla la città, di porre veti e muri, occupati di cose che potrebbero rivalutarti e rivalutare questa città come realtà marinara. Organizza dei corsi di formazione gratis a questi giovani, che potrebbero favorire un eventuale ingresso nel mondo del lavoro. Visto che lo stato taglia la scuola, hai mezzi e i posti per offrire strumenti di crescita. Hai aree demaniali che potresti utilizzare per formare ausiliari del mare che controllano la costa, le spiagge e multare chi sporca ed è incivile. Potresti affiancarli alla guardia costiera e utilizzare le risorse del mare. Così il giovane si sentirebbe utile e motivato a fare qualcosa di bello! La gente non ha soldi per iscrivere un proprio figlio ad una scuola privata, lo vogliamo capire questo? Che il tasso di disoccupazione è altissimo? E al di là delle motivazioni, uno si toglie la vita perché non ha un futuro. Quindi, smettiamola di proporre cose insensate e cominciamo a lavorare per queste iniziative.
E’ così che si costruiscono veri uomini!
Mi perdoni per l’intrusione, ma la voce di chi è stato colpito da questo lutto è una voce non da disperato ma di chi offre invece dal cuore.
Andrea IAIA