SAVA. “Cibo criminale”. Un vero e proprio atto d’accusa del magistrato Valeria Mignone contro le organizzazioni criminali e la mancanza di controlli

SAVA. “Cibo criminale”. Un vero e proprio atto d’accusa del magistrato Valeria Mignone contro le organizzazioni criminali e la mancanza di controlli

Convento San Francesco. Sala Sant’Egidio. E’ il quinto appuntamento del 2013 sul tema “Corretta Alimentazione”

Lo scorso giovedì si è tenuto a Sava il quinto incontro del 2013 sui Corsi formativi. Il tema, di tutto rispetto,  è “Cibo criminale”, ovvero il nuovo bussines della mafia italiana. Traendo tantissimi spunti dal libro di Mara Monti e Luca Ponzi, giornalisti e autori del libro inchiesta “Cibo criminale”, il magistrato Valeria Mignone nel suo intervento fiume ha tenuto tutti gli invitati, nella Sala Sant’Egidio, con il fiato sospeso. Tutti i posti a sedere erano occupati e questo penultimo appuntamento con la rassegna dei Corsi formativi del Convento dei frati francescani di Sava ha segnato una tappa importantissima. Ed ecco il magistrato Mignone che si presenta alla sala con un apripista che fa di nome frate Rosario De Paolis, il quale da padrone di casa diventa un vero e proprio attentissimo spettatore. Apre il suo intervento citando il libro inchiesta dei due giornalisti sopra citati e vista l’ampiezza, e l’importanza, del suo intervento lo pubblichiamo quasi integralmente.

“Il libro di cui stiamo parlando per me è stato difficilissimo da trovare. Solo grazie ad una mia amica di Parma, che conosceva uno dei coautori e mi ha permesso di conoscerlo, sono riuscita a sapere che in realtà la casa editrice del libro non ristampa più nessuna copia. Hanno ricevuti migliaia di querele, come anche i giornalisti d’inchiesta perchè l’argomento è molto molto delicato e scottante. Un pò come capita a tutti i giornalisti d’inchiesta”. Parte da questo la Mignone e prima di entrare nel vivo del tema sottolinea che “il libro di Mara Monti e Luca Ponzi ha ottenuto il più alto numero di querele d’Italia. Più di un criminale. Gli argomenti di cui parla questo libro però sono verità conclamata universalmente, perchè questo libro ci parla di casi realmente avvenuti. Quindi scorre in maniera latente e coinvolgente, come se fosse un giallo, una serie di argomenti e per argomenti intendiamo argomenti alimentari”.

Si parte dai prosciutti fino ai pomodori. ”Quindi si va dal prosciutto di Parma, al pomodoro San Marzano, alla mozzarella di bufala campana per arrivare al pachino, a tutti quei prodotti che tradizionalmente vengono ritenuti prodotti DOC. E per ognuno di essi, il libro ci fa passare attraverso l’indagine, attraverso il processo e attraverso la sentenza. Quindi sono tutti fatti che sono ormai conosciuti e sono pubblici e alcuni di questi signori coinvolti sono famosi”. Il magistrato entra con forza nella tematica della serata, ovvero il cibo criminale, quel cibo che viene offerto sotto ben altre forme.

“Cerchiamo di capire cosa vuol dire cibo criminale e che accezione ha questa definizione. Il sottotitolo è: il nuovo business della mafia italiana. Queste inchieste, bisogna dire, si sono rese possibili perchè partono da indagini sulla mafia e tutti i casi che sono stati scoperti vengono fuori sopratutto da indagini tassative (intercettazione telefoniche che danno lo spunto per l’indagine)”. Oltre questo, però c’è da sottolineare che “questi reati sono la Cenerentola del nostro diritto penale, sono reati che vengono sanzionati con pene minime. Per questi tipi di reato non è consentito l’uso delle intercettazione come mezzo provante. Le intercettazioni a volte sono l’unico mezzo per arrivare alla verità e quando, per certi tipi di reati queste non sono possibili, allora molte volte non si giunge mai alla verità dei fatti”

Il magistrato entra corposamente nell’inchiesta di “Cibo criminale” e parte dall’Emilia Romagna: “Il primo di cui ci parla comincia con la morte di un tunisino in Emilia-Romagna. Scoprono che questo clandestino ha come paga eccessiva per un uomo che lavora in una fabbrica addetta alla produzione del prosciutto. L’uomo percepiva 7000 euro al mese. Le indagini inizialmente si muovono sulla pista dell’omicidio e salta subito agli occhi degli inquirenti la stranezza dell’ammontare della busta paga del clandestino, ormai defunto. Gli inquirenti nel corso degli indagini avevano scoperto che il tunisino percepiva così tanti soldi perché ricattava il proprietario della fabbrica, il quale aveva contatti con un camorrista. Lo straniero era a conoscenza che i prosciutti che venivano spacciati per prosciutto di Parma DOC, in realtà erano carni proveniente da diverse parti del mondo, di cui era sconosciuta la provenienza dell’animale e la sua situazione igienico-sanitaria in punto di morte”.

Partendo da questo caso, dell’extracomunitario ucciso, al quale il suo datore di lavoro corrispondeva la somma stratosferica di 7000 euro al mese, il magistrato allarga il tema sugli aspetti igienico e sanitari: “I maiali come sappiamo mangiano tutto ciò che gli viene dato anche i rifiuti. Quindi noi non sappiamo cosa questi animali avessero mangiato prima di morire e quindi quali eventuali pericoli sarebbero sopraggiunti qualora questi avessero contratto delle malattie trasmissibili all’uomo. Dalle indagini quindi era emerso che quel prosciutto poteva essere racchiuso nella fattispecie di “cibo criminale”. Ovviamente dietro l’imprenditore si cela tutto un meccanismo mafioso-criminale che vede coinvolti esponenti delle mafie di tutta Italia”.

Per tanto dove vi è la possibilità di introiti o comunque di ricavare del denaro, bisogna stare “tranquilli” in quanto “c’è sempre la mafia. La mafia si occupa di tutto. La criminalità organizzata utilizza anche questi mezzi per riciclare il denaro sporco di introiti illegali, quali spaccio di droga, racket”. Al tema è collegato anche il nostro Salento. “Altre indagini effettuate nel nostro Salento, specialmente a Nardò, hanno palesato che il pomodoro pachino prodotto nelle nostre terre veniva raccolto con veri e propri “sacrifici umani”. Immigrati clandestini venivano fatti lavorare alla stregua della schiavitù. massiva sottopaga e tutela dei diritti dell’uomo pari a zero. Nord-africani, ghanesi, congolesi, ivoriani, c’erano di tutti gli stati. Questi uomini coscienti del loro status di clandestini, erano consapevoli di non poter richiedere gli stessi diritti al lavoro di un italiano e quindi sottostavano a tali pesanti soprusi”. Ed ecco esposta la meccanica: “Gli uomini venivano prelevati all’alba da appositi mezzi e portati nelle campagne dove vi lavoravano con turni di 12 ore. Addirittura facevano loro pagare una bottiglietta d’acqua piccola 1 euro e 50, un panino semplice 2 e 50,guadagnando solo 15 euro al giorno. Alcuni di loro sono anche morti. Sono soggetti invisibili che non esistono quindi soggetti a tali azioni”.

Dopo questa triste esposizione è la volta dei formaggi. “Formaggio che veniva prodotto utilizzando ingredienti scaduti molto spesso contaminati o spesso avariati. Restando in tema di formaggi e citando alcuni nomi importanti come Galbani, che ha poi sporto querela a sua volta, emerge una prassi che ha dell’incredibile. E Voi sapete che alcuni formaggi hanno una dato di scadenza come il Galbanino che presente l’etichetta “da consumare preferibilmente entro”. Quando questi formaggi superavano tale data i supermercati li rimettevano in degli scatoloni per rispedirli al fornitore”. Fin qui, apparentemente, tutto bene ma poi “questo a sua volta giaceva tali latticini in dei capannoni “invisibili” nei quali successivamente questi formaggi venivano rielaborati, ripastorizzati, rimiscelati e messi di nuovo in commercio”. Ovviamente tutto mosso per mano della mafia. Addirittura da alcuni campioni di tali formaggi è emerso che c’erano molecole di formaggio scadute da diversi anni. Cosa ancora più sbalorditiva in alcuni campioni sono stati ritrovate penne di piccione e feci di topo. “Quindi pensate alla qualità di questi formaggi. Tutto questo era un processo che serviva ad ammortizzare i costi. Smaltire un formaggio in avaria sarebbe costato di più che attuare il processo appena descritto”.

Dopo i prosciutti, il pomodoro pachino e il formaggio è la volta del pomodoro San marzano. “Altro esempio di cibo criminale è un tipo di cui mi sono occupata personalmente in un’indagine di diversi anni fa. Si tratta del pomodoro San Marzano, uno dei più grandi commerci illeciti che l’Italia abbia mai conosciuto. Il pomodoro San Marzano è quello prodotto nelle zone di Salerno e provincia e non quello prodotto in Puglia che è il quinto San Marzano. In alcune passate di pomodoro San Marzano sono stati rinvenuti pomodori cinesi che pare siano stati prodotti dai detenuti condannati ai lavori forzati, una sorta di lager. Questi pomodori entravano in Italia attraverso il porto di Salerno per poi essere mischiati ai pomodori San Marzano per creare la salsa. Il tutto veniva lavorato e rivenduto come pura passata di Pomodori San Marzano, famosi in tutto il mondo”.

Altro scandalo era quello concernente l’importazione dalla Germania di caglio col quale veniva prodotta la bufala campana, anche questo prodotto DOC. “Ovviamente tutto mosso, ancora una volta, da mire criminali. Per creare la bufala campana, c’è bisogno di un certo procedimento attento e mirato: le bufale devono essere allevate in un determinato ambiente, il latte deve raggiungere una certa temperatura. Uscendo da questi paramenti si entra nell’ambito di “cibo-criminale”. Ovviamente il tutto era più semplice importando la caprina o la calliata dalle quali produrre la mozzarella. Era quindi un prodotto artificiale, di difficile digestione perché era come se avessimo ingerito dei bottoni, data la natura artificiale dei componenti (violazione art. 515 cod. penale)”. Tutti questi esempi sono dovuti a scarsi controlli. Ma non manca il dito puntato d’accusa alla politica. “Ovviamente questa cosa criminale si radica all’interno della politica in quanto i controlli seguono una gerarchia. E’ tutto il sistema che non funziona”. Dato di fatto, amaramente è così.

Dopo questi esempi di cibo criminale il magistrato si sposta verso lo stabilimento che fa di nome ILVa di Taranto. “Anche l’Ilva di Taranto, che crediamo abbia effetti esclusivamente nel tarantino, sta avendo effetti su tutta la Puglia, vedasi i vari tumori in Puglia. Da due anni a questa parte la nostra percentuale di cancro è in ascesa, superando anche la Lombardia e il Piemonte, nonostante queste regioni siano altamente industrializzate”. Ma se nel leccese non c’è un “ILVA”, questi tumori da dove vengono? “È’ un ciclo, è tutto contaminato. E’ impensabile pensare che un trattore senza marmitta catalitica produca cancro e invece inquina i terreni che ara e sui quali passa. La benzina che noi usiamo, la così detta “benzina verde” è un tipo di benzoato che si deposita sul terreno”. Alla luce di tutto questo Valeria Mignone deduce che “che non comprerò più questi ed altri tipi di prodotti. Poiché sono impegnata col lavoro, sono solita acquistare prodotti già pronti come formaggio grattugiato. Ho capito che da oggi in poi comprerò il pezzo di formaggio e lo grattugerò direttamente io per salvaguardare la mia salute e quella della mia famiglia. E’ una forma di tutela. Dopo quello che ho letto è ora di cambiare alcune consuetudini. Cercherò di non comprare più la mozzarella di bufala campana perché prodotta in quelle zone in cui la camorra ha smaltito rifiuti tossici radioattivi e nocivi provenienti dal nord Italia”.

Ormai il territorio è quello che noi abbiamo voluto che fosse. “Io ho cominciato una lotta ormai. Ancora oggi stiamo pagando i danni sanitari ed ambientali del boom economico degli anni 70, fortemente caratterizzato da abusivismo edilizio”.  La frase finale del suo intervento è: “E più importante avere un treno più veloce o che il progresso si unisca al fine di rispettare la natura?” Il riferimento alla Parigi-Lione non è puramente casuale. Un forte battito di mani dalla sala si eleva ed apprezza così tanto l’intervento di questa donna coraggiosa che naviga in un campo in cui gli interessi delle organizzazioni criminali e mafiose non vedono affatto la distruzione del nostro territorio, della nostra salute. Azioni amaramente avvallate, spesso e volentieri, da politici spudorati e scriteriati che, in nome dello squallido profitto, hanno svenduto la vita di chi li aveva designati a difenderla.

Giovanni Caforio

viv@voce

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