MANDURIA. Tre condanne per le torture della baby gang al pensionato Cosimo Stano: due 19enni e un 23enne condannati a 10 e 8 anni

La giudice Vilma Gilli ha condannato a 10 anni di reclusione Gregorio Lamusta e Antonio Spadavecchia e a 8 anni e 8 mesi Vincenzo Mazza. Il giudice ha riconosciuto il reato di tortura nei confronti del 66enne, ma ha escluso l’aggravante della morte dell’uomo come diretta conseguenza di quelle violenze che vennero portate avanti con “inaudità crudeltà” da una baby-gang composta perlopiù da minorenni

Sono tre le condanne emesse per la morte di Cosimo Antonio Stano, il 66enne di Manduria, in provincia di Tarantovittima delle torture di una baby gang che si chiuse in casa lasciandosi morire di fame e di stenti. La giudice Vilma Gilli ha condannato a 10 anni di reclusione il 20enne Gregorio Lamusta e il 24enne Antonio Spadavecchia e a 8 anni e 8 mesi il 20enne Vincenzo Mazza.

Il giudice ha riconosciuto il reato di tortura nei confronti del 66enne, ma ha escluso l’aggravante della morte dell’uomo come diretta conseguenza di quelle torture. Il pubblico ministero Remo Epifani aveva infatti chiesto la condanna a 20 anni di carcere per gli unici tre maggiorenni della gang “degli orfanelli”, come il nome della chat nella quale commentavano le loro spedizioni punitive all’uomo affetto da disabilità psichica, torturato per mesi. La difesa, composta dai legali Gaetano Vitale e Lorenzo Bullo, però, è riuscita a dimostrare che quegli atti di violenza non erano “concausa” della morte.

Bisognerà attendere le motivazioni della sentenza per valutare fino in fondo le ragioni che hanno portato la giudice Gilli, che ha celebrato il processo con il rito abbreviato che prevede lo sconto di un terzo della pena.

La vicenda balzò agli onori della cronaca non solo per la ferocia della vicenda, ripresa con i telefonini dagli stessi autori, ma anche per quello che accadde subito dopo. Stano dopo le ultime aggressioni subite nella sua casa, decise di barricarsi senza mangiare e soprattutto senza curare le ferite che quelle violenze avevano generato: il 66enne, insomma, si lasciò pian piano morire.

Quando fu ricoverato in ospedale, il quadro clinico era così compromesso che per il personale medico non è stato possibile salvargli la vita. Nel mese di aprile 2019 i medici lo sottoposero a diversi interventi, ma il 23 aprile Stano morì.

In quei giorni, l’uomo raccontò ai poliziotti il dramma di una intera vita: “Da sempre sono oggetto di scherno ed a volte di aggressioni da parte di ignoti”, disse descrivendo il calvario di una intera esistenza trascorsa tra la solitudine, le violenze e l’indifferenza di una intera comunità.

Stano spiegò agli investigatori della Squadra mobile che le incursioni della “comitiva degli orfanelli” andavano avanti da tanto tempo: “Questa non è la prima volta che con violenza riescono ad introdursi in casa mia e in ogni occasione – aveva confidato ai poliziotti dal letto di ospedale negli ultimi giorni di vita – hanno fatto dei danni e hanno portato via quello che capitava loro davanti.

Purtroppo sono tuttora molto scosso e traumatizzato, tanto da non ricordare precisamente cosa. Di queste percosse e rapine subite non ho mai fatto denuncia perché ormai mi mancano le forze ed ho molta paura di ritorsioni da parte di questa gente violenta”.

L’inchiesta coinvolse anche altri 13 “orfanelli” minorenni: per loro, nei mesi scorsi, il processo si è concluso con l’affidamento in prova ai servizi sociali. Tutti erano stati allontanati dalle loro famiglie ritenute sostanzialmente corresponsabili di quanto era accaduto.

La magistratura aveva chiaramente parlato di carenza di figure genitoriali “seriamente normative e indirizzanti” in grado di garantire lo “scollamento” dal “contesto socio-ambientale di riferimento negativo”.

Insomma, una storia triste maturata in ambiente profondamente diseducativo secondo i giudici che negli atti di inchiesta avevano definito “allarmante” la anaffettività dei tre maggiorenni, ma anche degli altri membri del gruppo: un distacco cinico rispetto ai soggetti “più deboli qual era Stano Cosimo Antonio, disabile mentale che viveva in condizioni di abbandono e che, proprio per tale sua particolare vulnerabilità era divenuto vittima di atti di inaudita crudeltà e violenza”.

Francesco Casula

FONTE

ilfattoquotidiano.it del 30 maggio 2020

 

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