Piano ambientale Ilva: Legambiente ha presentato oltre settanta Osservazioni e richieste di modifica

Piano ambientale Ilva: Legambiente ha presentato oltre settanta Osservazioni e richieste di modifica

OSSERVAZIONI AL PIANO DELLE MISURE E DELLE ATTIVITA’ DI TUTELA AMBIENTALE E SANITARIA

(ai sensi dell’art. 1, comma 5 della legge n. 89 del 4 agosto 2013)

PREMESSA

Si ribadisce quanto sostenuto nelle premesse delle osservazioni inoltrate dall’associazione in sede di riesame dell’AIA rilasciata nel 2011. La perizia predisposta dal GIP P. Todisco e le successive indagini edazioni di controllo eseguite a vari livelli hanno confermato come il piano di adeguamento alle B.A.T., presentato dall’Ilva nel lontano 2007 ed in base al quale sono stati rilasciati i vari provvedimenti di AIA, poggiasse su basi non corrispondenti al reale stato di esercizio degli impianti e dei livelli di inquinamento ad essi collegati. Il riesame dell’AIA, prima della sua approvazione ad ottobre 2012, avrebbe dovuto comportare la proposizione di un quadro aggiornato e più consone al reale stato in cui versa lo stabilimento siderurgico. Operazione non avvenuta, per cui anche il “piano ambientale” dei tre esperti nominati dai vari ministeri viene predisposto senza una nuova descrizione dello stato degli impianti nel mentre provvedimenti giudiziari e legislazione speciale mutano di continuo il contesto di riferimento.

Ad un anno dall’approvazione del provvedimento di “riesame” dell’AIA, si registrano ritardi spesso del tutto intollerabili nell’attuazione delle prescrizioni ivi contenute. La revisione dei loro tempi di esecuzione attribuisce al “piano ambientale” valenza di vera e propria sanatoria per quanto riguarda il comparto “aria”. Un’operazione che segue la mancata adozione, in sede di “riesame“, dei provvedimenti tecnici assunti dai custodi giudiziari nominati dal Gip P. Todisco.

PRESCRIZIONI DI CARATTERE GENERALE

Le criticità ambientali e sanitarie del territorio _ già dichiarato ad elevato rischio ambientale, inserito tra i SIN per le bonifiche ed alle prese con le emergenze benzo(a)pirene e PM10 prima della fermata di diversi impianti _ impongono l’inserimento, nell’AIA, di prescrizioni volte a ridurre, drasticamente e nei tempi più celeri, i flussi di massa e le concentrazioni dei vari inquinanti immessi nell’ambiente, adottando :

 Le nuove MTD approvate dalla Commissione Europea in data 28 febbraio 2012 ed in particolare il perseguimento del limite più restrittivo previsto per i vari settori impiantistici.

 le migliori tecnologie in assoluto (art. 29 septies del D.Lgs 152/06 già 59/05 art. 8 del D.Lgs) e limiti di emissione molto più rigorosi rispetto a quelli previsti dalla le-gislazione nazionale e regionale, mirando a ridurre al minimo l’inquinamento (art. 29 sexies del D.Lgs già art. 7 comma 4 del D.Lgs 59/05).

I dettami della legge regionale n. 21 del 24.07.2012. L’applicazione di questa norma implica che le prescrizioni adottate nell’AIA debbano essere rivisitate sulla base del-la Valutazione del Danno Sanitario indotto dall’esercizio dello stabilimento. Per cui si esprime forte dissenso per la legge 231/2012 (pubblicata sulla G.U. dello scorso 23 agosto) dai contenuti più blandi e che di fatto rinvia ogni forma di VDS al 2016.

 il ricorso all’innovazione tecnologica nel processo produttivo che possa, anche con profonde modifiche impiantistiche, eliminare o ridurre drasticamente l’impatto ambientale e sanitario nonchè le emissioni di CO2 .

1° CAPITOLO

IL COMPARTO “ARIA”

Le prescrizioni, riguardanti il solo settore aria, devono prevedere :

a) Confinamento / incapsulamento, salvo difficoltà tecniche insormontabili, degli im-pianti e delle parti del processo produttivo responsabili delle emissioni diffuse e fuggitive come in larga parte previsto dalle nuove BAT.

b) Adozione generalizzata di filtri a tessuto alle varie fonti di emissioni con relativo programma di controllo della loro efficienza e di smaltimento delle polveri captate.

c) Monitoraggio e/o campionamento in continuo di macro e micro inquinanti presso gli impianti maggiormente inquinanti e trasparenza dei dati. Il sistema di monito-raggio in continuo deve garantire un controllo, da parte degli enti preposti, non nel-la sola fase di trasmissione finale dei dati ma anche in quella intermedia di elabora-zione automatica degli stessi dati nel software. Del resto questa è una delle condi-zioni imposte dal Gip P. Todisco per consentire agli impianti sotto sequestro di po-ter riprendere l’esercizio dopo il loro risanamento ambientale.

d) Modifica della capacità produttiva di 11,5 milioni t/a di acciaio prevista, a regime, nel “riesame”. In un processo produttivo come il siderurgico, più alta è la produzio-ne e maggiori sono le emissioni in atmosfera e nel mare, svilendo qualsiasi inter-vento di miglioramento ambientale indipendentemente dalle pratiche operative a-dottate. Si richiede quindi che l’AIA preveda una capacità produttiva futura dello stabilimento inferiore a 8 mln di ton/a di acciaio (come peraltro sostenuto dalla stessa Arpa di recente), con un limite da prescrivere in rapporto alle innovazioni tecnologiche da apportare ed alla valutazione del danno sanitario.

e) La riduzione, in conseguenza di quanto esposto nel punto precedente, dei tempi di riduzione dei flussi di massa del parametro polveri imposti all’azienda per cokeria (73 %), agglomerato (60 %), altiforni (47 %) ed acciaierie (50 %) portandoli da marzo 2016 al 31.12.2014.

f) Nelle osservazioni di Legambiente era stata registrata la grande incongruenza tra il parere della commissione IPPC ed il PMC dell’Ispra. Nei due documenti erano ri-portati parametri e modalità di monitoraggio differenti in rapporto allo stesso og-getto. Questa dissonanza è stata all’origine dell’accoglimento, da parte del TAR di Lecce, del ricorso inoltrato dall’Ilva con conseguente eliminazione di parte del pre-cedente piano di monitoraggio e controllo ambientale. Si chiede il ripristino di quanto previsto nel PMC e l’adeguamento alle disposizioni delle nuove Bref nel frattempo approvate.

g) Il perseguimento delle migliori tecnologie in assoluto deve anche tradursi in pre-scrizione del valore più basso degli intervalli tabellari previsti dalle nuove Bref per i vari settori produttivi.

h) L’adeguamento alle migliori prestazioni ambientali offerte da impianti similari nell’ambito dello stesso settore e nel rispetto dei limiti imposti. La perizia chimica predisposta dal GIP P. Todisco ha, ad es., evidenziato come le batterie della cokeria o gli altiforni abbiano tra loro rendimenti diversi.

i) L’implementazione del sistema di video – sorveglianza non solo in funzione dell’os-servazione dei fenomeni di emissioni diffuse e fuggitive ma anche dei camini e del-le torce degli impianti maggiormente inquinanti come la cokeria.

j) Ottimizzazione del sistema di gestione ambientale con una programmazione delle sue diverse componenti tra cui : controllo efficace dei processi e delle prestazioni con puntuale adozione di misure correttive e nuove tecnologie pulite, manutenzio-ne tesa a garantire la piena efficienza ambientale degli impianti, formazione del personale, prevenzione e gestione delle emergenze.

k) Una relazione sul reale stato in cui versa lo stabilimento nelle diverse componenti del suo processo produttivo e sugli interventi che il gestore dichiara di aver effet-tuato in base ai precedenti atti di intesa del periodo 2002 / 2005. La sua stesura a-vrebbe dovuto essere propedeutica ai lavori della commissione IPPC per garantirne puntualità ed efficacia.

l) Uno studio di fattibilità da presentare entro sei mesi circa l’adozione di tecnologie innovative e meno impattanti sul piano ambientale da potersi proporre in sostitu-zione o in modifica di comparti dell’attuale ciclo produttivo. E’ il caso di tecnologie quali Finex, Corex o il ricorso a ferro preridotto ed utilizzo del metano in altoforno. Mentre per l’abbattimento della CO2, di cui l’Ilva è tra le maggiori responsabili nel Paese, il riferimento è alle varie proposte formulate nel Programma europeo UL-COS. La definizione delle modifiche da adottare nel processo produttivo deve co-munque conformarsi anche agli esiti della valutazione del danno sanitario e non implicare la realizzazione di un rigassificatore o l’utilizzo del devastante shale gas.

Le prescrizioni sinora proposte nel procedimento di rilascio dell’AIA sono andate invece nella direzione, non condivisibile, di puro adeguamento di processi produttivi e tecnologie di vecchio stampo. Quindi volte a mantenere l’esistente migliorandone le prestazioni ambientali.

m) l’emissione di fideiussione di importo adeguato a coprire futuri interventi di di-smissione e bonifica.

OSSERVAZIONI DETTAGLIATE AL “PIANO AMBIENTALE”.

Questi i punti più rilevanti relativi al settore “aria”:

* Osservanza prescrizioni: si richiede un controllo ed una valutazione circa la qualità degli acquisti e degli interventi da effettuare per l’osservanza delle prescrizioni. Occorre che attrezzature e tecnologia da adottare siano le migliori disponibili sul mercato per garantirne la massima efficienza nel tempo e che gli interventi previsti siano eseguiti con il medesimo obiettivo.

* Fissazione limiti : non vi è trasparenza sui dati del monitoraggio effettuati dal gestore. Nel “piano” il rispetto dei nuovi limiti imposti dal “riesame” per le emissioni convogliate dei vari impianti viene dato per acquisito. Si tratta però di asserzione basata su comunicazioni del gestore non rese note e rispetto alla cui fondatezza non è dato di sapere se siano state eseguite le necessarie verifiche da parte di Ispra ed Arpa.

* Copertura dei parchi primari (pre. 1): la data di presentazione del progetto (aprile 2013) è stata ampiamente disattesa e rinviata a dicembre 2013 per il parco minerali ed aprile 2014 per il parco fossile. Nonostante sia indicato come “prioritario”, l’intervento rimane inoltre indefinito nei tempi di realizzazione. Presumibilmente non verrà rispettata neanche la data prescritta dal “riesame” (ottobre 2015). Basti considerare che per la sola bonifica del sito (cinturazione perimetrale dell’area con annesso impianto di trattamento delle acque) si fissa come scadenza febbraio 2015. Una diluizione della tempistica inaccettabile su cui hanno inciso anche i ritardi nella procedura di rilascio delle necessarie autorizzazioni dovuti alla mancata trasmissione, da parte aziendale, della documentazione richiesta dal SUAP di Taranto.

Occorre infine che si prenda in considerazione la possibilità di poter approvvigionare gli altiforni tramite pellets. Tale soluzione, oltre ad eliminare l’agglomerato, potrebbe ridurre nettamente la dimensione dei parchi con i relativi benefici in termini di riduzione dell’impatto ambientale.

* Costruzione di edifici per aree di deposito (pre. 4): si rileva uno slittamento, per l’ultimazione dei lavori, da ottobre 2014 a luglio 2015 per i parchi delle aree nord coke, OMO, agglomerato sud e nord, PCA ; a dicembre 2015 per il parco loppa. Perplessità si sollevano anche per la sostituzione dei previsti impianti di captazione e aspirazione con non meglio definiti sistemi di umidificazione.

* Sistemi di scarico via mare ( pre. 5) : L’intervento avrebbe dovuto essere realizzato, secondo il “riesame“, già nel gennaio 2013. Si ritiene non del tutto adeguato il ricorso a benne ecologiche chiuse nella parte superiore. Occorre l’adozione di sistemi di aspirazione dei materiali come già in uso nel polo carbonifero di Brindisi.

Va garantito inoltre che sia programmato il prelievo di campioni del carico per analizzarne la composizione e, soprattutto per il carbone, la quantità di zolfo.

* Chiusura nastri trasportatori( pre. 6) : l’intervento era considerato, nel “riesame”, di prima priorità poiché inserito tra quelli da ultimare entro tre mesi. Nella nuova formulazione i tempi di realizzazione vengono posticipati addirittura al 2016. Nel “piano” mancano i riferimenti circa i sistemi di captazione e convogliamento delle emissioni da installare in corrispondenza dei punti di caduta (compresi salti nastro), misura prevista nel “riesame” e necessaria per garantire efficacia all’intervento in oggetto.

* Altoforno 2 (pre. 16): Il quadro è tutt’altro che limpido. L’impianto è stato fermato in ritardo (luglio 2013) rispetto alla data prescritta nel “riesame” (novembre 2012) e solo per calo del mercato. Si rileva inoltre incongruenza tra date di riavvio (gennaio 2014) e ultimazione dei previsti interventi di depolverazione ed installazione di filtri a tessuto (31 marzo 2014). Non solo, l’Ilva di recente ha anche comunicato la rimessa in esercizio dell’altoforno per il 4 novembre senza che gli interventi siano effettuati. Evidente appare il contrasto con la prescrizione che ne prevede il riavvio solo ad ultimazione dei lavori.

* Altoforno 5 (pre.16) : è del tutto assurdo come la data di fermata, già programmata per luglio 2014, diventi incerta e dipendente non dalle esigenze di risanamento ambientale e tutela della salute pubblica ma dall’andamento del mercato.

* Batteria 11 (pre. 16.i) : l’intervento viene rinviato di un anno per la fermata non prevista delle batterie 9 e 10. Si tratta di motivazione del tutto pretestuosa in quanto il “riesame” prevedeva la loro chiusura immediata. L’installazione Proven prevista ha inoltre scadenza troppo lontana (31.7.2016)

* Costruzione docce (pre. 16 e 49 ) : nel “riesame” il rispetto del limite di 25 g/t di coke per le polveri è da perseguire da subito. Nel “piano” viene invece rimandato ai tempi estremamente diluiti di costruzione delle docce (tra il 31.8.2015 ed il 31.7.2016). Si ritiene invece che si debba precludere l’esercizio delle docce che non garantiscono il rispetto di questo limite prima del loro rifacimento.

Il percorso per il raggiungimento del valore inferiore di 20 g/t di coke appare ancora nebuloso. Il rinvio al 31.7.2016 (nel “riesame” aprile 2014) del relativo progetto non è condivisibile : ancora una volta la tutela della salute pubblica non è intesa come prioritaria rispetto ad altri fattori. Si ritiene come soluzione più idonea, per il rapido raggiungimento del valore inferiore, l’adozione del sistema dello spegnimento a secco del coke, più efficace di quello ad umido anche nella nuova formulazione impiantistica proposta dall’azienda.

* Trattamento gas coke (pre. 45) : il “riesame” prevede il rispetto del limite imposto da subito. Nel “piano” il raggiungimento dell’obiettivo viene trasposto al 31 luglio 2016. Occorre, invece, prima di questa scadenza che l’esercizio delle batterie spente sia ripristinato solo se in grado di garantire il rispetto della prescrizione.

* Fissazione limiti flussi emissione (pre. 53 – 56 – 61 – 62 – 63 – 72 – 76 ) : il controllo non può essere effettuato solo annualmente, a consuntivo. Il rispetto di queste prescrizioni necessita di un monitoraggio periodico (almeno trimestrale) dei livelli di emissione per consentirne controllo e migliore programmazione dell’attività (il notevole superamento della media mensile può essere indicativo, ad es., per l’assunzione di provvedimenti idonei a rientrare nei parametri imposti) .

* Fissazione limiti in preparazione miscela agglomerato (pre. 54) : mancano riferimenti circa il rispetto dei nuovi limiti imposti, da subito e prima dell’intervento di adeguamento, per polveri e diossine. Si nutrono non pochi dubbi nel merito poichè dalla relazione Ilva di ottobre 2013 si evince come i due camini E314b e E315b non siano ancora attivi in attesa dell’installazione dei filtri a tessuto.

* Fissazione limiti sulla sinterizzazione (pre. 55 e 57 ) : anche per questa prescrizione non si forniscono note circa il rispetto dei nuovi limiti imposti nel “riesame” nell’immediato. Poichè trattasi delle emissioni del camino E312, tra le più insidiose dello stabilimento, si richiede una netta riduzione dei tempi di adeguamento per polveri e diossine. I ritardi accumulati sono dovuti anche all’atteggiamento recalcitrante assunto dal gestore nei confronti dell’adozione dei filtri a maniche a valle del processo di sinterizzazione poichè ritenuta soluzione inizialmente impraticabile.

* Captazione e convogliamento emissione raffreddatore (pre. 60 – 62) : l’intervento avrebbe dovuto essere completato entro aprile 2013. Si è ancora nella fase di valutazione dell’ipotesi progettuale. Grosse perplessità si sollevano per la modifica della prescrizione e la soluzione che si intende assumere. Viene meno la copertura completa dell’impianto e sui camini si vanno ad installare elettrofiltri che, rispetto ai filtri a tessuto precedentemente previsti, offrono minori garanzie. Si prospetta solo un ridimensionamento, ma non una risoluzione, del grave problema della diffusione delle polveri contenenti diossine e poste sotto accusa per la contaminazione dei terreni contermini allo stabilimento.

ULTERIORI CONSIDERAZIONI E RICHIESTE

COKERIA

La preferenza va verso l’adozione di innovazioni tecnologiche nel processo produttivo che possano eliminare o notevolmente ridurre l’utilizzo di coke. Nel caso di non recepimento di soluzioni di questo tipo si richiede la chiusura di almeno quattro delle batterie dal maggior impatto ambientale e dalla minore efficienza tecnologica. Misura ritenuta necessaria per una riduzione delle emissioni di polveri, IPA ed altre sostanze inquinanti. Sul numero di batterie da dismettere deve incidere anche la valutazione del danno sanitario.

* Occorre che venga motivata la decisione di non imporre alle batterie n. 7 – 8 – 12 (per le quali sono previste solo l’installazione del sistema “proven” e la ricostruzione della torre di spegnimento ad esse rapportate) il rifacimento dei refrattari come previsto per le restanti batterie (pag. 20 del “riesame”).

* Attualmente i sei punti di emissione della cokeria sono privi di sistemi di abbattimento, pur essendo appartenenti ad un impianto tra i più inquinanti dello stabilimento e sulla cui gestione la perizia chimica del Gip P. Todisco ha espresso non poche riserve. La relativa prescrizione di installazione, prevista nell’AIA rilasciata ad agosto 2011, è stata eliminata con sentenza del TAR di Lecce su ricorso dell’Ilva. Per l’azienda era ritenuta “insostenibile”; per il TAR “illogico e privo di specifica giustificazione”(ord. 1187/2012) . Nel recente passato anche il rispetto del limite di 0,4 n/mc di diossina e del campionamento in continuo del camino E 312 dell’agglomerato erano stati ritenuti irrealizzabili dall’azienda salvo renderli progetti fattibili per obbligo normativo e/o su pressione delle istituzioni. Inoltre, dalla relazione del dr. Di Nardo, al convegno promosso dalla curia di Taranto il 7 novembre, è emerso come in Giappone la misura sia già in uso.

Si ritiene che la notevole portata ( alla capacità produttiva, di ben 842.000 Nmc/h) delle emissioni da questi camini imponga la reintegrazione di tale prescrizione nel “piano ambientale“. Del resto le disposizioni “Rif. 2” dei custodi giudiziari, di cui si chiede il recepimento, vanno in questa direzione come di seguito riportato: “dovranno essere installati idonei sistemi di trattamento fumi, mediante filtri a manica, ai punti di emissione convogliata E422, E 423, E 424, E 425, E 426, E 428 al fine di garantire un valore limite inferiore a 10 mg/Nmc per le polveri …”(pag. 8). 

* Il monitoraggio della temperatura dei piedritti e delle celle di combustione previsto dalla prescrizione n. 37 deve essere in continuo per meglio garantire l’osservanza della BAT “II /46” (“evitare forti variazioni della temperatura“) e della BAT ” III / 46″ (“osservazione e monitoraggio generali del forno”).

* Tra le misure previste per limitare le emissioni di benzo(a)pirene rientrano le opere quotidiane di manutenzione e di regolazione della tenuta delle porte dei forni a coke elevate a 314 ore uomo al giorno per tutto l’anno (600 durante i “wind day“). Tali operazioni espongono però gli addetti a gravi rischi per la gran dispersione dal piano di carica di fumi e gas particolarmente nocivi. Occorre quindi che venga imposto un sistema che consenta di eseguire le manovre in maniera automatica da lavoratori posti al riparo in postazioni mobili.

* La visibilità di consistenti emissioni dai camini, durante le fasi di caricamento, può essere indice di fessurazioni nel materiale refrattario delle celle. Da qui la necessità dell’installazione di videocamere non solo mirate al controllo delle emissioni fuggitive ma anche di quelle convogliate.

* Occorre prescrivere un sensore per monitorare il grado di deformazione meccanica delle pareti dei forni. Un dispositivo di questo tipo risulta già installato nello stabilimento siderurgico di Dunkerque.

* Nel caso di mancato ricorso a sistemi innovativi di modifica del processo produttivo si richiede la redazione di uno studio di fattibilità circa la possibilità di una ricostruzione della cokeria in una zona più distante dal centro abitato, dotandola di celle di maggiori dimensioni come previsto dalla BAT “X /46“. Il numero delle celle verrebbe in tal modo ridotto ottenendo una maggiore efficienza e minori emissioni. La capacità complessiva di distillazione dovrebbe comunque conformarsi ai tetti produttivi imposti. L’operazione riproporrebbe sul territorio quanto già avvenuto a Duisburg. Si è comunque a conoscenza delle difficoltà di una soluzione di questo tipo per la vicinanza dell’area del parco delle gravine che non può assolutamente essere coinvolta. Si ribadisce inoltre come la preferenza vada verso soluzioni tecnologiche volte ad eliminare o ridurre l’utilizzo di coke nel processo produttivo.

ALTIFORNI

* Risulta che solo negli impianti stock house di AFO 4 e 5 siano installati filtri a tessuto mentre in quelli di AFO 1 e 2 ad essere adottati sono sistemi di abbattimento ad umido con una capacità di captazione polveri decisamente inferiore. Si richiede l’adozione di filtri a tessuto anche per questi due ultimi altiforni, misura del resto obbligata per rispettare il limite di 10 mg/Nmc imposto nel “riesame“.

* Si richiede, in applicazione delle BAT “n. I/61 e n. 62” , la copertura dei canali di colata per tutti gli altiforni ed il divieto di utilizzare catrame per il rivestimento degli stessi con relativo controllo di merito. 

* Si richiede l’applicazione della “BAT 69”, non contemplata nel “riesame”, in ordine all’implementazione di sistemi atti a ridurre gli odori nella fase di trattamento delle scorie.

AGGLOMERATO

* Si ribadisce l’importanza del campionamento in continuo delle emissioni di diossina dal camino E 312 di un impianto che ne produce la maggior quantità nel Paese con tutte le conseguenze ambientali, sanitarie ed economiche nel territorio circostante. La tecnologia è recepita nel PMC ma con la formulazione ambigua di “campionamento a lungo termine” di cui si chiede il cambiamento in ” campionamento in continuo“. Si richiede che la misura venga adottata dal 1° gennaio 2014.

ACCIAIERIE

* La dispersione di fumi e gas viene registrata anche dai tetti dell’ACC/2 nonostante la recente installazione di un nuovo sistema di depolverazione secondaria. Occorre che nel merito venga svolta un’indagine per far emergere la portata di questa disfunzione e le sue cause per poter assumere i provvedimenti del caso.

* Occorre affrontare le problematiche relative all’adozione della tecnica della “combustione soppressa“, in base alla quale il gas di acciaieria viene recuperato solo nella fase centrale del processo di affinazione in convertitore (durante la quale detiene maggior quantità di ossido di carbonio) mentre nelle fasi iniziali e finali viene combusto in torcia. Non a caso in un suo rapporto del 2011 il NOE denuncia un uso continuato delle torce del tutto distorto, di fatto assurto a pratica di smaltimento e non legato ad eventi eccezionali (emergenze e/o problemi di sicurezza). Questa tecnica è prevista dalle B.A.T. ma, tanto più in assenza sinora di accorgimenti che incidano sulla combustione delle torce, ai vantaggi del recupero del gas di acciaieria (poi sfruttato a scopo energetico) fanno da contrappeso insopportabili emissioni inquinanti. Tale anomalia va decisamente superata con le eventuali opportune modifiche di processo e/o adozione di adeguati sistemi di captazione.

Occorre inoltre che le torce, oltre quanto previsto dal “riesame“, siano dotate sia di un sistema atto ad impedire l’ingresso di aria nel corpo della stessa (con relativo monitoraggio in continuo dell’ossigeno) e sia di smokeless per migliorare la combustione e ridurre le emissioni di residui carboniosi (fumate nere). Oltretutto il NOE ipotizza che l’azienda possa non possedere l’autorizzazione necessaria per la dispersione delle emissioni diffuse trattate in questo paragrafo.

PIANO DI CONTROLLO E MONITORAGGIO AMBIENTALE

* Si richiede che i parametri monitorati come conoscitivi per diversi camini possano essere trasformati in cogenti o, comunque, legati ad alcuni interventi da adottare in caso di superamento del limite tabellare.

* Occorre che tutti i dati relativi al rispetto delle prescrizioni dell’AIA, inclusi i dati del monitoraggio predisposti dal PMC, siano consultabili su un apposito sito predisposto dal Ministero dell’Ambiente in collaborazione con Ispra ed Arpa Puglia. 

* Si ritengono troppo lunghi ed incerti i tempi concessi per l’esecuzione del programma LDAR da parte dell’azienda poiché ha già usufruito di quelli previsti dall’AIA rilasciata nel 2011.

CAPITOLO 2°

COMPARTO ACQUE E SCARICHI A MARE

* Allo stato attuale il prelievo dei campioni per le analisi della qualità dei reflui avviene dopo la confluenza degli scarichi dei singoli impianti nei due canaloni e quindi dopo aver subìto una diluizione con le acque di raffreddamento (90% della quantità scaricata in mare) e di processo. Una pratica che appare in contrasto con la normativa di settore in cui si afferma che “i valori limite di emissione non possono in alcun caso essere conseguiti mediante diluizione…” (comma 5 art. 101 D.Lgvo 152/06 e successive modifiche). Si richiede il monitoraggio in continuo degli scarichi dei diversi impianti prima della loro confluenza nei canaloni principali e l’installazione di misuratori di portata. Tale richiesta non è stata recepita nell’AIA rilasciata ad agosto 2011 poiché ritenuta in contrasto con la sentenza n.4648/2005 del Consiglio di Stato (pag. 722).

In realtà, pur accogliendo il ricorso dell’azienda, la sentenza specifica come “La Provincia, ove intenda qualificare una parte dell’impianto come funzionalmente autonomo, è tenuta ad imporre preventivamente la separazione dello specifico scarico dalle acque di raffreddamento o di lavaggio, configurandolo al contempo come ‘parziale’ ai sensi del D.Lvo 152/99 oppure fissando, in sede di autorizzazione, ulteriori e più stringenti prescrizioni tecniche ex art. 45, comma 9, all’insegna della migliore tecnologia disponibile”. Poiché le competenze per gli scarichi sono trasferite, per le aziende interessate, nel campo di applicazione del D.Lvo 59/2005 e s.m., si rinnova la richiesta che i prelievi vengano effettuati nella parte terminale dei canali di scarico a “piede” di ogni impianto.

* Sulla base del punto precedente si richiede che i valori di concentrazione debbano essere rispettati non solo dai reflui scaricati a mare ma anche da quelli dei singoli impianti interessati (cokeria, altiforni, etc) prima della loro miscelazione con le acque affluenti nei due canaloni. Non è assolutamente tollerabile che le concentrazioni riscontrate a piè di impianto e la presenza del selenio nelle acque di cokeria risultino ancora superiori alle indicazioni delle nuove Bref o delle BAT (come si evince dal “piano ambientale). Per il persistere di questa situazione si richiede il carattere cogente di rispetto dei limiti tabellari dei vari parametri per i quali le analisi siano prescritte a livello conoscitivo.

Il rispetto dei limiti tabellari, e prima della miscelazione con altre acque nel canalone di scarico, deve essere rispettato anche dagli scarichi delle vasche di granulazione loppa asservite a tutti gli altiforni, degli impianti di filtrazione e raffreddamento delle acciaierie, degli impianti di sedimentazione, disoleazione, filtrazione, raffreddamento della colata continua, degli impianti di zincatura a caldo ed elettrozincatura, di tutti gli spogliatoi ed uffici. Tali prescrizioni erano peraltro contenute nel “parere” espresso dalla Commissione IPPC nel 2009 ed eliminate nei successivi “pareri” su pressione del gestore.

* L’AIA rilasciata nel 2011, inopportunamente, ha confermato l’eliminazione della prescrizione contenuta nel “parere” 2009 inerente “censimento e caratterizzazione di tutti gli scarichi afferenti al primo ed al secondo canale di scarico. A valle di tale censimento dovrà essere prodotto un protocollo che regoli l’autorizzazione di ogni singolo scarico”. Se ne richiede il ripristino tenendo conto del nuovo quadro amministrativo delineato dall’accordo con Provincia ed ASI.

* Occorre prescrivere il periodico ed adeguato controlavaggio dei letti di sabbia delle vasche di granulazione loppa con trattamento di chiarificazione per i reflui generati dalla stessa operazione. Misura anche questa già prevista in precedenti “pareri” espressi dalla Commissione IPPC.

* Per gli scarichi nei due canaloni principali, l’AIA prescrive gli stessi limiti imposti dal D.Lgs 152/06 senza prevederne una riduzione, peraltro contemplata dallo stesso D.Lgs 152/06. Si ritiene che l’estrema criticità del contesto ambientale locale debba imporre nell’AIA, in linea generale, prescrizioni con limiti di emissione più ristrettivi in applicazione dell’art. 8 D.L.vo 59/2005. Del resto i previsti interventi di adeguamento alle M.T.D. prescritti per i singoli impianti dello stabilimento debbono necessariamente riflettersi anche in termini di netto miglioramento della qualità degli scarichi finali.

* Dal piano di caratterizzazione scaturito dalla conferenza dei servizi sul S.I.N. di Taranto si sono registrati livelli di contaminazione di benzo(a)pirene, PCB, IPA e metalli pesanti nei sedimenti presenti nei canaloni di scarico anche superiori a quelli fissati dall’ICRAM. Sversamenti delle stesse sostanze possono verificarsi soprattutto durante le operazioni di pulizia / rimozione svolte nel tratto finale dei canaloni. Inoltre non sempre il barrieramento riesce a fronteggiare l’onda d’urto degli scarichi. Per questi fanghi si rende quindi necessario, nelle prescrizioni dell’AIA, non solo il dragaggio ma anche un monitoraggio costante ed il rispetto dei limiti di concentrazione fissati per i sedimenti marini. Quest’ultima misura in osservanza delle decisioni assunte dalla conferenza dei servizi sul S.I.N. del 15 Gennaio 2008. Va del resto rilevato come una loro contaminazione superiore ai limiti di legge li trasforma in rifiuto e di conseguenza non più recuperabili.

* Le prescrizioni dell’AIA devono prevedere una razionalizzazione dell’utilizzo delle acque ad uso industriale. L’Ilva, per il raffreddamento dei suoi impianti e per necessità di processo, utilizza ingenti quantità di acque prelevate da varie fonti : Mar Piccolo in primo luogo (circa 1.284.788.000 mc/a nel 2003) ma anche da 32 pozzi (circa 10.000.000 mc/a). Di contro le acque reflue trattate dei depuratori Gennarini e Bellavista vengono scaricate a mare. E nella regione, come sottolineato dall’Arpa Puglia, il fenomeno del depauperamento delle risorse idriche sotterranee assume proporzioni preoccupanti. Occorre quindi mirare ad una generale riduzione del prelievo da ogni fonte. Le acque dei fiumi Tara, Sinni e Fiumicello, prelevate in ingenti quantità dall’Ilva, risultano infatti sempre più strategiche per garantire l’approvvigionamento idrico per uso civile ed agricolo in particolare durante l’estate. L’AIA del 2011, recependo le indicazioni della Regione Puglia, ha prescritto all’azienda l’uso dei reflui depurati ed affinati provenienti dai depuratori Gennarini e Bellavista in luogo delle acque del Sinni attualmente impiegate per il suo processo produttivo. In tal modo sarebbe liberata una portata di acque pari a 250 lit/sec. da destinare, secondo prescrizione, all’invaso Pappadai. L’Ilva sinora si è sempre opposta a questa soluzione. Ha anche intentato un ricorso presso il Tar di Lecce, perdendolo. E’ scandaloso come nonostante siano trascorsi 29 mesi dal rilascio dell’AIA, l’Ilva non si sia ancora adeguata a questa prescrizione e come il Governo non abbia agito d’autorità al riguardo. Si rileva come lo stabilimento di Piombino già utilizzi reflui depurati ed affinati nel proprio ciclo produttivo.

Occorre, quindi, l’adozione : a) di sistemi di massimo riutilizzo delle stesse acque di raffreddamento e di processo dell’azienda. b) prescrivere il reimpiego a scopi industriali dei reflui depurati dagli impianti di Gennarini e Bellavista nel più breve tempo possibile senza ulteriori rinvii.

In tal modo si limiterebbe il ricorso alle acque di falda e, con le acque del Sinni non più prelevate dall’azienda, valutabili in 15 milioni di mc annui, si potrebbe finalmente risolvere il problema del riempimento dell’invaso Pappadai a scopo irriguo.

* L’idrovora posizionata nel Mar Piccolo provoca delle alterazioni sulla qualità delle acque di questo bacino, in particolare sulla sua salinità, e forme di inquinamento prodotte dal gran ricorso a biocidi per garantire la fluidità delle tubazioni. Da considerare inoltre le conseguenze che l’aspirazione di queste enormi quantità di acque può causare, con l’innesto di moti ondosi artificiali, in termini di rimozione degli strati superficiali dei fondali notoriamente contaminati in più parti da metalli pesanti e microinquinanti vari. Di contro tale moto artificiale garantisce un maggiore ricambio di acque in un bacino semichiuso.

Nelle procedure per il rilascio dell’AIA occorre che all’Ilva venga prescritto uno studio, da presentare entro tre mesi, per verificare l’impatto che l’idrovora provoca sull’ecosistema marino del Mar Piccolo e l’opportunità o meno che tale prelievo venga effettuato fuori rada.

CAPITOLO 3°

RIFIUTI E DISCARICHE

* Le informazioni contenute nell’AIA rilasciata nel 2011, sulle modalità di stoccaggio dei residui di lavorazione da reimpiegare e gli accorgimenti per non interferire sull’ambiente, spesso non sono puntuali. Si richiede che vengano resi pubblici i MUD anche degli ultimi anni (la pubblicazione è ferma al 2005). Occorre che le prescrizioni dell’AIA prevedano controlli puntuali sulle modalità di stoccaggio e di deposito temporaneo, dei rifiuti come delle materie prime in riferimento alla normativa vigente (vedi obblighi vedi commi “l” “m” art. 183 oppure art. 187 del D.L.vo 152/2005). Piuttosto anomalo è che quest’area non sia stata inserita nel SIN di Taranto per le bonifiche con obblighi relativi.

* Il settore delle discariche è rimasto a lungo in un limbo amministrativo a tutto vantaggio dell’Ilva. Questa parte è stata infatti stralciata nell’AIA rilasciata nell’agosto 2011 e dal suo riesame dell’ottobre 2012. La conseguenza è stata il protrarsi di un contesto inficiato da diverse presunte irregolarità amministrative rimaste irrisolte e che, di fronte al prossimo esaurimento delle discariche in esercizio, hanno spinto il Governo ad emanare il 31 agosto 2013 il decreto legge n.101. Nel frattempo sono giunte a conclusione le indagini della Procura con adozione di misure cautelari per diversi amministratori e tecnici locali.

Il ricorso alla legislazione speciale è indice di fallimento dell’azienda riguardo la gestione delle sue discariche e solleva notevoli perplessità circa il percorso che si intende seguire per avviare le nuove discariche. In una relazione del 13 settembre 2013 l’Arpa Puglia definisce infatti come “attività non autorizzata e quindi illecita” l’utilizzo della scoria di acciaieria nella costruzione della nuova discarica ex 2B. La Regione Puglia, nella nota n. 454 del 4.3.2013 ha, dal canto suo, affermato come, nelle more del rilascio dell’AIA, non abbia “mai autorizzato un provvedimento di autorizzazione alla realizzazione dell’impianto di che trattasi nè risulta alcunchè da parte degli enti locali sottordinati”. Lo stesso “piano ambientale” rimanda ogni valutazione alle decisioni che il Governo dovrà assumere nel merito.

Si ritiene che in nessun modo, per le nuove discariche, si debba derogare dalle procedure previste dalle leggi in materia e dai requisiti tecnici richiesti dalle BAT per la costruzione di impianti di smaltimento. In questo ambito occorre che l’azienda fornisca le fideiussioni previste, aspetto di recente oggetto di ulteriori provvedimenti giudiziari da parte della Procura di Taranto.

* Il sistema di monitoraggio della falda sottostante le discariche in esercizio nell’area “Mater Gratiae” dell’Ilva risulta inadeguato. L’A.I.A. deve prescrivere il posizionamento dei piezometri a monte ed a valle dei tratti di falda interessati. Inoltre devono essere recepite le indicazioni della conferenza dei servizi sul SIN del 15 Gennaio 2008 ”Considerando che le linee di flusso della falda sotterranea hanno diversa orientazione, si ritiene che debbano essere opportunamente previsti dei pozzi da posizionare uno in corrispondenza di ciascun lato della discarica ad una distanza massima della stessa pari a 500 mt e alla profondità che si dimostri idonea per monitorare tutta la falda sottostante le discariche in questione”. Nonostante i rilievi sulla dislocazione dei pozzi spia, dalle analisi effettuate dall’Arpa, tra nov.2009 e dic. 2011 sulla falda profonda, sono emersi valori superiori alla Soglia di Concentrazione (CSC) per Solfati e soprattutto Piombo e Nichel.

* La discarica di categoria “ex 2B” nell’area “Mater Gratiae” è stata realizzata con autorizzazione rilasciata dalla Provincia nel 1998. Attualmente ne è in esercizio il 4° lotto con autorizzazione del 2008 ed è in fase di esaurimento. Tra i vari rifiuti smaltiti rientrano anche le polveri derivanti dagli elettrofiltri dell’agglomerato. Si richiede una indagine per verificare se questi rifiuti siano stati smaltiti con livello di presenza di diossina conforme ai limiti previsti dal Dlgs 36/2003 e collegati ed adeguate misure di controllo nel merito.

* Nella conferenza dei servizi sul SIN del 19.12.07 l’APAT ha riscontrato varie incongruenze sul piano di caratterizzazione della “Nuova cava Due Mari”. Tra l’altro è stata contestata l’inadeguatezza dei metodi utilizzati dall’azienda per le analisi di Cromo totali, IPA e PCB anche in relazione alla non menzione di ricorso alla procedure di controllo qualità; sono stati individuati superamenti dei valori limite per Fe, Mn, idrocarburi totali, solfati; analisi di acqua di pozzo rapportata ai valori per lo scarico delle acque superficiali ed in rete fognaria (D.Lgs 152/06) in luogo di quelli ammissibili per le acque sotterranee (tabella 2 in allegato 1 al D.M. 471/99, etc. Contestazioni che sollevano ulteriori dubbi sulla puntualità con cui l’azienda fornisce i suoi dati. Si richiede la riduzione del tempo troppo lungo (18 mesi dalla autorizzazioni) concesso all’Ilva per la presentazione del progetto di bonifica e chiusura della discarica.

* Le prescrizioni dell’AIA devono includere un piano di recupero paesaggistico di tutto il fronte delle discariche dismesse o attualmente in esercizio, del lato Est della gravina di Leucaspide, di zone interessate o che sono state interessate a stoccaggi provvisori di materiali e di altre aree nelle quali non insistono impianti ma che versano in stato di degrado. Particolare attenzione va rivolta all’area della gravina di Leucaspide nei decenni passati utilizzata come discarica senza gli accorgimenti attualmente imposti dalla normativa in vigore. Dal piano di caratterizzazione devono scaturire la bonifica ed un recupero in linea con le esigenze di tutela ambientale e paesaggistica dell’adiacente parco delle gravine. Proprio a tali aree (Leucaspide e Mater Gratiae) si fa riferimento nella sentenza di Cassazione del 20/06/2000 in cui l’Ilva viene condannata per discarica abusiva con l’obbligo alla rimozione della “situazione di discarica”.

* All’interno dello stabilimento, nei pressi della cava “Mater Gratiae”, vi è una vasta area di stoccaggio di pneumatici e materiale plastico. Negli ultimi anni più volte è stata interessata da incendi (il più vasto il 24 aprile 2000) che hanno sprigionato lunghe e fitte cortine di fumo nero che solo fortuitamente la direzione dei venti ha diretto verso Mar Grande invece che sul quartiere Tamburi. La tipologia del materiale fa intuire come in queste circostanze possa essersi sprigionata anche diossina. Nelle more di provvedimenti volti alla rimozione ed al corretto smaltimento del materiale ivi depositato occorre prevedere per quest’area sistemi di sicurezza anti-incendio più adeguati.

* Dalle attività di controllo dell’Arpa riferiti alla dismessa discarica “ex cava Cementir”, nel passato utilizzata dall’Ilva, sono emersi superamenti delle CSC per il parametro fluoruri direttamente riconducibile alla sua attività e per i parametri solfati, piombo ed arsenico non ad essa addebitabile. Il Ministero dell’Ambiente ne ha chiesto la mise (messa in sicurezza) con atto del 12.03.2012 per i fluoruri. Anche per questo impianto si ritiene eccessivo il periodo, di 18 mesi dal rilascio delle relative autorizzazioni, concesso all’azienda per la sua chiusura.

CAPITOLO 4°

BONIFICHE

* L’intera procedura del SIN , pur essendo stata avviata da oltre un decennio, risente di gravi ritardi. La caratterizzazione, dopo la rimodulazione dei risultati delle analisi seguita all’entrata in vigore del D.L.gs n. 152/2006, non è stata ancora approvata definitivamente; conseguentemente neanche l’analisi di rischio. In tale contesto, che risente anche degli effetti della farraginosità della normativa vigente, non si è proceduto agli interventi di messa in sicurezza ed alla definizione di quelli di bonifica. I mancati interventi espongono nel frattempo le matrici ambientali a presumibile aggravamento del loro livello di contaminazione. La conferenza dei servizi sul SIN del 20.12.2011 ha richiesto al tavolo tecnico di valutarne l’entità tramite uno specifico studio. Si richiede di inserire questa proposta nelle prescrizioni del “piano ambientale”.

Dal “piano ambientale” emerge come la caratterizzazione del suolo non abbia interessato le aree impronta degli impianti e dei parchi minerali. Si ritiene grave che la conferenza nazionale dei servizi sul SIN non abbia ritenuto di dover prescrivere analisi anche in questo ambito. Si richiede che tale provvedimento, anche a tutela della salute dei lavoratori, sia imposto nel “piano ambientale“.

Si ritiene, per dare impulso alle opere di bonifica, sia necessario stipulare un accordo di programma ai sensi del Dlgs 152/06 come già effettuato per altri territori. Si rende inoltre urgente, da parte dei ministeri competenti, apporre le dovute correzioni di ordine amministrativo – progettuale, ma anche normativo, per poter rendere più efficaci le misure assunte dalle conferenze dei servizi sui SIN spesso bloccate in sede di TAR.

I dati attualmente a disposizione, riferiti allo stato di contaminazione della falda superficiale e profonda, sono stati ritenuti a livello di emergenza dalla conferenza nazionale sul SIN. A più riprese sono stati così imposti all’Ilva interventi di messa in sicurezza d’emergenza (mise) anche tramite confinamento fisico. Prescrizioni assunte dal Ministero dell’Ambiente in ordine alle decisioni scaturite da varie conferenze dei servizi decisorie (dalla prima del 19.10.2006 a quella del 20.12.2011), alle quali l’Ilva si è sempre opposta con ricorsi al Tar. Le ordinanze di sospensiva, di volta in volta emanate, richiamano simili provvedimenti assunti in altre sedi giurisdizionali. La prescrizione, essendo considerata di carattere strutturale e quindi non rientrante tra gli interventi proponibili come mise, nonché per la sua particolare onerosità di esecuzione, è stata ritenuta illegittima per la mancata chiusura della fase istruttoria e l’assenza di elementi di comparazione tra varie soluzioni. Nel merito si registra come il Ministero dell’Ambiente, prima del 2012, non abbia ritenuto di dover impugnare i vari provvedimenti di sospensiva di fronte al Consiglio di Stato.

Lo scorso anno il TAR di Lecce (sentenza n.329/2012) si è pronunciato in via definitiva accogliendo, in linea con i precedenti provvedimenti di sospensiva, gran parte delle istanze dell’azienda. Avverso tale sentenza il Ministero dell’Ambiente, nell’ultima conferenza dei servizi decisoria del 03.05.2012, ha finalmente preannunciato ricorso al Consiglio di Stato di cui non si conoscono gli esiti.

CAPITOLO 5°

DIRETTIVA “SEVESO” SUI RISCHI DI INCIDENTI RILEVANTI

* Si ritiene che Taranto debba rientrare, per la complessità del suo apparato industriale ed il rischio costituito dalle sua attività, tra le aree “ad elevata concentrazione di stabilimenti ” ai sensi dell’art. 13 del Dlgs 334/99 e s.m.. Tale provvedimento consentirebbe l’elaborazione di un unico Piano di Emergenza Esterno (PEE) di area. Nelle more dell’assunzione di tale provvedimento da parte del Ministero dell’Ambiente, si ritiene altresì necessario che si debba coordinare ed integrare il PEE dell’ILVA con quello dell’ENI e del porto (ndr. “il rapporto di sicurezza”) per garantire maggiore sicurezza al territorio ed efficacia al piano di intervento in caso di emergenza. In particolare si ritiene che il PEE dell’Ilva debba integrarsi con quello delle due centrali termoelettriche CET/2 e CET/3, di cui la stessa azienda ha di recente rilevato la proprietà. Pur distinti sul piano societario, ma della proprietà, i processi produttivi delle due aziende sono infatti tra loro strettamente interconnessi.

* Per garantire puntualità ed efficacia alle analisi di rischio ed agli interventi da assumere in caso di incidente rilevante si richiede di integrare le “informazioni sullo stabilimento” riportate dal PEE in corso di approvazione poichè non rispetto a quanto previsto dal DPCM 25 febbraio 2005. Il riferimento è alla carenza di note inerenti viabilità interna dello stabilimento e mappe delle reti tecnologiche. Di particolare importanza è l’indicazione, su specifica cartografia, del tracciato relativo alle reti gas ed ossigeno, ai vari impianti di stoccaggio, al posizionamento delle torce per rilevarne il rischio in rapporto al trasporto interno di sostanze pericolose ed eventuale effetto domino per la loro vicinanza.

* La notevole estensione dell’area dello stabilimento siderurgico, circa 15 mln di mq con al suo interno 50 km di strade e 200 km di ferrovia, impone di superare l’attuale analisi del PEE limitato alla valutazione dei rischi di incidenti rilevanti in relazione ai soli processi produttivi. Si ritiene necessario approfondire le valutazioni riguardanti il rischio derivante dal trasporto di merci pericolose all’interno dell’area di stabilimento. In particolare in relazione alla possibilità di un impatto incidentale ad es. di un’autocisterna contro condotte dei gas di recupero oppure serbatoi di ossigeno e azoto. Oppure di un suo coinvolgimento in incidenti occorso ad un impianto amplificandone gli effetti distruttivi.

Si richiede che vengano inoltre forniti dati riferiti al trasporto intermodale delle sostanze pericolose all’interno dello stabilimento. In particolare, le cifre in merito a quantità, tipologia e pericolosità delle merci trasportate via mare, su gomma e rotaia ed alla quantità dei vettori interessati anche in entrata ed uscita dallo stabilimento. Questi ultimi dati assumono importanza anche in relazione al rischio che incombe sulla strada per Statte, rientrante nella terza zona “di attenzione” nel PEE in discussione. Su questa arteria potrebbero inscenarsi incidenti di maggior rilevanza se ad essere coinvolto nelle conseguenze di un incidente rilevante interno allo stabilimento sia un mezzo con trasporto di merci pericolose.

* Occorre che si provveda ad un’analisi circa l’effetto domino conseguente ad incidente rilevante nell’Ilva con ripercussioni nelle due centrali termoelettriche CET/2 e CET/3. Il riferimento è agli eventi RG T01a/b/c con conseguenze del tipo “inizio” ed “elevata letalità” che inseriscono questi due impianti nella fascia di “sicuro impatto”. Una cornice da cui discerne la necessità, oltre le motivazioni in precedenza esposte, di un unico PEE per Ilva con e le due centrali termoelettriche.

* Si richiede un’analisi del rischio derivante, anche in caso di incidente di non notevole portata, dal possibile impatto di gas od ossigeno in dispersione con camini e torce. L’elevata temperatura delle emissioni sprigionate da questi ultimi potrebbe infatti fungere da innesco di eventuali miscele esplosive. Si richiede che vengano forniti dati inerenti la dispersione di emissioni diffuse di gas od ossigeno lungo le reti, su giunture e valvole o dagli impianti di stoccaggio. Nonchè sulla quantità di torce e camini presenti nello stabilimento e sulla temperatura dei fumi in uscita dagli stessi.

* Nel rapporto del Comitato Tecnico Regionale (CTR) del 6 Aprile 2009 risulta come l’Ilva nel RDS non abbia proceduto ad una valutazione dei rischi derivanti da un’eventuale assenza di alimentazione elettrica. L’azienda esclude, infatti, una contemporanea assenza di erogazione da parte di ENEL e centrali ex EDISON e sostiene di poter comunque usufruire, in caso di emergenza, della “ fornitura integrativa a mezzo di gruppi elettrogeni”.

In realtà un evento di questo tipo si è registrato nel 2010. Il 6 Aprile di quell’anno un guasto sulla rete elettrica di trasmissione ha causato il distacco di tre delle quattro unità di produzione di energia elettrica e vapore delle centrali ex EDISON. Nella circostanza si è determinata un’alimentazione di energia insufficiente per il regolare esercizio degli impianti provocando il ricorso a misure di emergenza come lo sfiato delle torce.

Sulla carenza di indicazioni aziendali circa l’assunzione delle misure di sicurezza da approntare in caso di black out elettrico e la loro affidabilità erano scaturite riserve anche da parte del CTR. Riserve ritenute in larga parte superate in seguito ai successivi chiarimenti forniti dall’Ilva. Si ritiene, però, che l’azienda non possa esimersi dal redigere una valutazione dei rischi rapportati a questo evento ed in particolare ad un mancato funzionamento delle torce sulle reti dei gas siderurgici. Non si è a conoscenza se il gestore abbia adempiuto alle prescrizioni imposte dal C.T.R..

* I mutamenti climatici del pianeta hanno con tutta evidenza inciso anche sulle caratteristiche atmosferiche dell’area del Mediterraneo rendendole sempre più instabili e protese alla formazione di fenomeni meteorologici dagli effetti anche devastanti. Riscontri in tal senso si sono registrati in loco il 28 novembre scorso quando un tornado ha provocato una vittima e gravi danni al territorio. L’impatto prodotto dal suo passaggio nell’area portuale ed all’interno dello stabilimento siderurgico deve necessariamente portare ad un’analisi specifica anche questo tipo di rischio.

* Si richiede la predisposizione, sul sito del Ministero dell’Ambiente, di uno spazio s dedicato all’applicazione della direttiva “Seveso” in cui sia riportata la documentazione relativa a procedure e varie disposizioni del D.L. 334/99 (rapporto di sicurezza, approvazione del CTR, notifica, scheda di informazione alla popolazione, piano di emergenza interno, sistema di gestione della sicurezza) interessanti gli stabilimenti rientranti nel suo campo di applicazione e sotto controllo dello stesso Ministero.

* E’ del tutto intollerabile che un’azienda di questa portata, anche in possesso delle certificazioni ambientali, possa operare sul territorio senza essere in perfetta regola con le normative vigenti in materia di rischio ed in particolare che sia ancora sprovvisto del Certificato di Prevenzione Incendi. Di questi ritardi è responsabile l’azienda per le carenze prodotte in fase di presentazione del Rapporto di sicurezza” che ne hanno decretato in prima battuta la bocciatura da parte del Comitato Tecnico Regionale. Per l’Arpa la documentazione esaminata mostrava “ numerose carenze, soprattutto per gli aspetti di Analisi di rischio” (doc. 15 Luglio 2008).

Si ritengono altresì inaccettabili i tempi concessi al gestore per l’espletamento della fase istruttoria necessaria al suo ottenimento (giugno 2016) e se ne richiede una drastica riduzione avendo già la stessa azienda usufruito di un lungo periodo per mettersi in regola.

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