L’ULTIMO OMAGGIO A CELESTINO PESARE A 27 ANNI DALLA SUA MORTE

Quell’incontro nel 2009, con l’avvocato Cosimo Pesare, scomparso dieci anni fa
Che idea si era fatto di lui, avv. Cosimo Pesare?
Celestino era un uomo che leggeva molto e studiava, addirittura una volta vidi che nelle mani aveva il Diritto Romano che si studia nelle Facoltà di Giurisprudenza. Era un personaggio molto colto, ma a modo suo. Prima di morire disse al fioraio di Corso Umberto, Michele: “Sono stato comunista però nessun comunista è mai venuto a trovarmi durante la mia malattia! Adesso mi convinco chi era quella gente che certamente non era quella che io credevo in quel partito!
Avvocato, sbaglio o lei è stato anche difensore di Celestino Pesare?
Si certo. Oltre cinquanta anni fa mi capitò di seguire un processo penale a Manduria in cui era testimone Celestino Pesare. Al momento in cui doveva deporre la sua testimonianza avrebbe dovuto ripetere le classiche parole del giuramento di rito che, l’allora Pretore Franca Bandiera, pronunziò per far sì che il testimone ripetesse e che recitavano: “Repubblica Italiana. In nome di Dio e del popolo italiano…”.
A questo punto Celestino Pesare si bloccò e disse “Giudice io posso giurare in nome del popolo italiano, anche se fetente, ma non posso giurare in nome di Dio perché costui io non l’ho mai conosciuto”. A nulla valsero i miei ripetuti tentativi di convincimento. Il Pretore si vide quindi costretto a sospendere l’udienza e a procedere per direttissima nei confronti di Celestino Pesare perché il Codice Penale di allora diceva che era un reato penale, punibile quindi con la reclusione, non giurare in nome di Dio.
Celestino venne così condannato a quattro mesi di reclusione (il minimo della pena) con la condizionale perché non fu mai un pregiudicato. Era una persona che ragionava a modo suo, però non ha mai commesso alcun reato.
A distanza di circa vent’anni da questo episodio mi ritrovai in piazza con Celestino e gli dissi: “Celestino ricordi quando ti hanno condannato a quattro mesi di reclusione?! La Corte Costituzionale ha eliminato dal giuramento di rito penale “In nome di Dio”. E a questo punto Celestino Pesare mi rispose: “Certo che dopo vent’anni si ricordano che Celestino Pesare aveva ragione!”
I rapporti legali, tra lei e Celestino, continuarono anche dopo la sua morte, vero?
Infatti, quando Celestino Pesare morì a Villa Verde fu trovato vicino al letto su cui dormiva un sacchetto di plastica con dei soldi e documenti vari. Io fui nominato dal Pretore per provvedere ad amministrare questi suoi averi e un suo immobile, una casa ereditata dalla madre.
Non si sapeva chi fossero i suoi parenti ma mi vennero a trovare alcuni suoi cugini residenti a Genova che volevano sapere cosa si dovesse fare con questa casa. Per legge dovevamo dare il via a un giudizio di eredità giacente per far sì che l’immobile andasse ai parenti più stretti, in questo caso i cugini. Visto che la citazione per eredità giacente deve essere notificata agli eventuali intimi parenti presenti, non conoscendoli, l’unica cosa che potei fare fu quella di prendere un elenco telefonico di Genova, cercare persone con lo stesso cognome e chiamare.
E infatti feci proprio così e telefonai ad un certo Giuseppe Pesare al quale dissi: “Chiamo per conto di suo padre Celestino Pesare”. La sua risposta fu semplicemente “Non ho padre!” e riagganciò il telefono. Avendo avuto l’esatto indirizzo notificai lì la citazione di eredità giacente. A questo punto mi chiamò un anziano avvocato di Genova per sistemare questa situazione e mi informò che i fratelli erano due e vivevano insieme. Loro erano interessati alla vendita dell’immobile per chiudere con tutta la faccenda.
Fu allora che scoprimmo che sull’immobile vi erano delle ipoteche da parte dello Stato di piccole somme, la più alta cifra poteva essere di mille lire, relative a delle contravvenzioni che lui non aveva mai pagato perché sosteneva di avere ragione e che quindi non fosse giusto pagare.
Una di queste riguardavano un decreto penale di condanna per lire mille perché aveva abbattuto con il piccone un camino, non di sua proprietà, che quando c’era scirocco faceva entrare il fumo in casa sua.
Quando, qualche anno prima, ci incontrammo in piazza io gli consigliai di pagare l’ammenda e di leggere bene cosa c’era scritto sul documento che riportava: Repubblica Italiana in nome del popolo italiano … : “E io – disse Celestino – tanto scemo sono che appartengo al popolo italiano mi condanno io stesso?!”»