“Libere” a Taranto: ritratti di donne coraggiose per ispirare il cambiamento

Da Roberta Frascella, Coordinamento Taranto Pride, riceviamo e volentieri pubblichiamo

La mostra di pittura “Libere” approda anche a Taranto. Nel corso della Pride Week, che si terrà dal 20 al 29 Novembre 2021 e che culminerà con il Taranto Pride di Sabato 27, nel foyer del Cinema Teatro Orfeo, sito in Via Pitagora 80, la pittrice Laura Scalera presenterà le sue opere, ritratti di donne “capaci di libertà”, come le ha definite la stessa autrice nel manifesto della mostra.

Il vernissage è previsto per le ore 16.30 di Sabato 20 Novembre, in occasione del TDoR – Transgender Day of Remembrance.

Grazie all’iniziativa delle associazioni tarantine Hermes Academy e Arcigay Strambopoli QueerTown Taranto, sarà possibile ammirare diciotto ritratti dalla forte potenza espressiva, non solo da un punto di vista pittorico ma anche – e soprattutto – per il messaggio che veicolano.

Si tratta di diciotto donne che hanno portato e portano avanti la loro lotta per combattere la violenza perpetrata verso di loro e le loro sorelle, per il riconoscimento dei diritti umani, sociali e politici e per l’affermazione delle differenze come elemento positivo e fondante dell’identità delle singole persone.

Protagoniste sono donne provenienti da tutto il mondo e da diverse epoche. Tanto per citarne qualcuna, abbiamo l’attrice Franca Rame e la partigiana Iris Versari per l’Italia, l’attivista social Loujain Alhathloul che combatte in Arabia Saudita, la militante afroamericana Angela Davis e l’attivista Rosa Parks in rappresentanza degli Stati Uniti e la cantante siriana Asmahan.

Un aspetto che colpisce delle opere realizzate da Scalera è che, mentre lo sfondo è spesso abbozzato, con un colore prevalente che incornicia i ritratti, i volti di queste donne e in particolare i loro occhi sono definiti con dovizia di particolari: alcune guardano lo spettatore mentre altre fissano lo sguardo verso qualcosa al di là dei confini della cornice e che porta a chiedersi di cosa si tratti.

In entrambi i casi, si tratta di sguardi potenti, anzi potentissimi e ugualmente efficaci. Infatti, guardare altrove significa proiettarsi verso un’altra dimensione temporale, probabilmente al futuro, per cui le protagoniste si auspicavano la crescita dei semi di attivismo – diretto e indiretto – piantati dalle loro voci e dalle loro azioni; significa inoltre proiettarsi verso l’Altro, travalicando i confini della propria esperienza personale per far sì che tutte le sorelle beneficiassero della loro determinazione, come insegna la sorellanza. Guardare lo spettatore, invece, vuol dire coinvolgerlo, significa dirli “vieni, seguimi, ti faccio vedere cosa è necessario fare” e le donne ritratte lo fanno con assertività e ottimismo, due sentimenti che l’autrice ha saputo ben ritrarre con tratti fluidi ma decisi.

Se la lotta fosse stata una cosa intima e individuale, non staremmo nemmeno guardando i loro volti e questa mostra non avrebbe motivo di essere; ma sappiamo bene che così non è, che la lotta coinvolge tuttз e riguarda tutto il mondo, perciò da spettatorз riceviamo un incarico, smettiamo di vestire i panni della passività e indossiamo quelli dell’agentività e dell’attivismo.

Le donne rappresentate ci insegnano che non è necessario dichiararsi attivistз per poter portare il proprio cambiamento nel mondo. Del resto, Rosa Parks ha cominciato dicendo un no secco a chi voleva toglierle il posto sull’autobus in quanto nera e Aida Butorovič ha ritenuto necessario salvare i libri della biblioteca dove lavorava a costo della sua stessa vita.

L’insegnamento fondamentale, tuttavia, è quello di togliere i paraocchi che ci danno sicurezza e guardare oltre ciò che siamo in prima persona: le protagoniste scelte da Laura Scalera sono donne bianche e BIPOC, di ogni età, classe sociale, forma fisica, religione e chi più ne ha più ne metta, non sono incanalate in un ideale rassicurante, probabilmente sono le stesse di cui avremmo istintivamente paura se ce le ritrovassimo accanto mentre siamo in metropolitana o camminiamo per strada.

Cosa ci dice questo? Impariamo che la lotta è intersezionale e che il femminismo neoliberista non basta a tutelare tutte, anzi ne mette molte in maggior difficoltà, limitando ulteriormente la loro libertà d’espressione. Non basta una donna al potere per dichiarare che la parità è stata raggiunta e, come affermò l’attivista Audre Lorde, “non sarò libera finché ogni donna non sarà libera, anche se le sue catene sono molto diverse dalle mie”.

Gli sguardi delle donne determinate che ci guardano da dentro una cornice, mentre da spettatorз siamo accompagnati dalla musica di sottofondo e da immagini dell’epoca che le ritraggono in prima linea, non devono rimanere lì, appesi a una parete, ma devono entrare in noi. Ora più che mai dobbiamo unirci nella sorellanza.

Ascoltiamo costantemente gli eventi in cui veniamo considerate meno di una persona, alla stregua di oggetti: in Italia i femminicidi e le violenze sono in costante aumento e durante il lockdown dovuto alla pandemia da Covid-19 le cose non hanno fatto che peggiorare, con gravi ripercussioni anche sul fronte della libertà economica, poiché la maggior parte delle persone che ha perso il lavoro era di genere femminile; le persone con utero della Polonia si sono viste limitare la possibilità di accedere all’aborto, reso illegale anche nei casi più estremi di pericolo per la gestante, per cui le proteste non hanno tardato a farsi sentire ed è recente la notizia della morte – dell’omicidio, meglio – di Izabela Sajbor per la mancata interruzione terapeutica della gravidanza che l’aveva messa a rischio di infezioni, per le quali alla fine è deceduta; in Afghanistan, il neonato governo talebano che, all’inizio aveva garantito trattamenti equi per le donne del paese, ha mancato inevitabilmente alle sue promesse, appellandosi alla Sharia (misinterpretata) per vietare i loro diritti all’istruzione e al lavoro e mettendo a tacere coloro che mostrano il dissenso al regime facendole sparire e uccidendole in modi brutali, come per l’attivista Frozen Safi.

Sono solo alcuni degli esempi, i più recenti e mediaticamente rilevanti. Non accadono solamente nei paesi lontani dal nostro sguardo occidentale, ma anche sotto i nostri occhi: pensiamo all’esultanza deз senatorз per l’affossamento del DDL Zan, un’opportunità mancata per difendere i diritti delle persone LGBTQIAPK+, delle persone con disabilità e delle donne. La misoginia in Italia non solo è molto radicata, ma anche istituzionalmente avvallata, le donne che si autodeterminano divengono vittime della cultura dello stupro a ogni suo livello, le donne trans* subiscono un’ulteriore marginalizzazione, non abbiamo pieni poteri sulla nostra vita pubblica e privata.

La convinzione è che il patriarcato è ancora molto forte e i suoi artigli cercano di acchiappare chiunque desideri sfuggirgli, ma rimarrebbe fulminato dagli sguardi decisi di queste diciotto donne, ritratte con colori accesi e pennellate incisive, perché la libertà che esse rappresentano e che diviene un modello per tutte coloro che le osserveranno nel corso della mostra va guadagnata con la rabbia, con la determinazione e alzando la voce.

Il desiderio è che le donne tarantine che vi parteciperanno si lascino ispirare e guidare da queste potenti maestre di vita da guadagnarsi la libertà che ancora non abbiamo e farla diventare il motore dell’esistenza femminile e femminista che guarda al passato, ma con gli occhi rivolti al futuro.

 

 

 

 

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