TARANTO. “Acqua ed ex Ilva: la corsa del gambero”

Nota stampa di Legambiente

Lascia basiti l’annuncio che il Governo avrebbe preso atto della volontà di Arcelor Mittal di continuare ad utilizzare per il funzionamento dell’impianto siderurgico tarantino l’acqua del Sinni invece di quella -affinata- proveniente dal depuratore Gennarini.

Con un rapido colpo di spugna si vogliono cancellare anni di battaglie giudiziarie, di prescrizioni A.I.A., di impegni assunti, di progetti targati C.I.S. : insomma, si procede come i gamberi, come in un eterno gioco dell’oca in cui si torni sempre al punto di partenza.

Così facendo una eventuale crisi idrica riproporrà il paradosso di dover utilizzare in un processo industriale acqua che potrebbe essere destinata a dissetare le persone o ad irrigare i campi: una assurdità, specie in tempi di crisi climatica e di guerre per l’acqua che insanguinano il pianeta.

Si rendano note e consultabili le motivazioni tecniche fornite da Arcelor Mittal e i pareri addotti in merito da chi, per conto del Governo, le ha esaminate: vogliamo leggerle per capire come sia possibile essere tornati indietro di anni ed anni, ai tempi dei Riva.

Ci ricordiamo bene la loro opposizione all’uso delle acque reflue del depuratore Gennarini: faceva il paio con la volontà di non procedere in nessun caso alla copertura dei parchi minerali.
Ora i parchi sono parzialmente coperti, a dimostrazione che non c’erano problemi tecnici, ma solo economici. Per far cessare l’uso industriale dell’acqua del Sinni cosa sarà necessario?

Attendiamo da tempo che il Governo dica parole chiare sul futuro dell’ex Ilva, traduca in fatti concreti gli impegni più volte sbandierati ad una svolta green nel modo di produrre acciaio, si decida ad effettuare una valutazione dell’impatto sanitario dello stabilimento che costituisca la base scientifica cui attenersi a salvaguardia del diritto alla salute di cittadini e lavoratori.

La rinuncia ad affrontare l’impatto idrico dello stabilimento va nella direzione opposta: un segnale inquietante.

Nel nostro Dossier Taranto, presentato a maggio del 2019, abbiamo già denunciato la chimera del riutilizzo delle acque depurate a Taranto.

Nel 1994 fu finanziata, e successivamente realizzata con lavori ultimati nel 1997, la condotta che doveva portare le acque affinate degli impianti reflui civili dei depuratori Gennarini e Bellavista allo stabilimento siderurgico di Taranto per essere utilizzate nei processi di raffreddamento degli impianti. In tal modo si sarebbe evitato il prelievo per usi industriali delle acque del fiume Sinni, liberando una ingente portata d’acqua.

A valle di questa condotta fu installato un impianto di super affinamento per rendere le acque idonee all’uso industriale.

Il primo e più importante lotto della condotta costò 17 miliardi di lire e fu progettato quando l’Italsider era ancora di proprietà pubblica e vi era l’accordo sull’uso delle acque reflue per il raffreddamento degli impianti. I Riva, diventati proprietari dello stabilimento di Taranto nel 1995, si rifiutarono di utilizzare quelle acque. L’opera fu manutenuta per alcuni anni per poi essere abbandonata.

Nell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) rilasciata all’Ilva nel 2011 fu inserita una prescrizione che sanciva l’obbligo per l’azienda siderurgica di utilizzare prioritariamente le acque affinate dei depuratori Gennarini e Bellavista.

Il Piano Ambientale del 2014 fissò in 24 mesi dalla stipula dei previsti accordi con la Regione Puglia (necessari per disciplinare ai sensi del DM 185/03 le modalità di gestione degli impianti e la relativa contribuzione annuale fissa al costo di gestione a carico dell’azienda) i tempi di esecuzione dell’intervento.
L’azienda si è sempre opposta a questa soluzione. Ha anche intentato un ricorso presso il Tar di Lecce, avverso il quale Legambiente si costituì ad opponendum, perdendolo.

L’ormai ex Ilva, oggi ArcelorMittal, per il raffreddamento dei suoi impianti e per necessità di processo, utilizza ingenti quantità di acque prelevate da varie fonti: Mar Piccolo, Tara, Sinni, Fiumicello, ma anche da 32 pozzi. Di contro le acque reflue trattate dei depuratori Gennarini e Bellavista vengono scaricate a mare.

E nella regione, come sottolineato dall’Arpa Puglia, il fenomeno del depauperamento delle risorse idriche sotterranee assume proporzioni preoccupanti: occorre quindi mirare ad una generale riduzione del prelievo da ogni fonte. Le acque dei fiumi Tara, Sinni e Fiumicello, prelevate in ingenti quantità dall’Ilva, risultano sempre più strategiche per garantire l’approvvigionamento idrico per uso civile e agricolo in particolare durante l’estate.

Legambiente riteneva e ritiene importante l’adeguamento dell’impianto di depurazione a fini industriali. Si eviterebbero: le inaccettabili riduzioni della portata del fiume Tara e gli emungimenti praticati dai pozzi interni allo stabilimento, lo spreco di denaro pubblico connesso al mancato utilizzo delle opere già realizzate sinora, si libererebbe la città di Taranto dalle problematiche collegate al malfunzionamento della condotta sottomarina del depuratore Gennarini.

Non si torni indietro!

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