UNA STORIA DA RACCONTARE. “Se potessi cambiare il corso delle cose. Ma ora non sono buono neanche più per pisciare!”

UNA STORIA DA RACCONTARE. “Se potessi cambiare il corso delle cose. Ma ora non sono buono neanche più per pisciare!”

Un ottantenne in una casa di riposo e la sua vita descritta in questo incontro occasionale

Alcuni anni fa mi trovai in una casa di riposo della nostra provincia in quanto accompagnai un caro amico che doveva consegnare il suo curriculum per una proposta lavorativa. Un grande complesso residenziale, tante persone anziane, tante stanze e tante comodità.

Mentre il mio amico era al colloquio con i dirigenti della struttura mi avventurai in questo lungo corridoio che aveva a destra e a manca tante stanze ben arredate. Fui attirato dalla musica classica che fuori usciva da una di queste. Mi avvicinai. Un arzillo vecchietto, molto probabilmente superava gli 80anni, guardava dalla finestra il bel panorama dei vigneti di primitivo e gli alberi d’ulivo secolari. Al mio passaggio si girò e mi venne incontro. Fisico asciutto e con una vestaglia con bei colori addosso.

“Salve. Ha qualche parente qui?” Gli risposi di no, spiegando le ragioni della mia venuta. Risultai abbastanza simpatico e da qui nacque una conversazione che, tuttora, porto indelebile dentro di me e credo che questa può servire a capire di come la vita, i suoi percorsi e, in questo caso, le disgrazie determinano una vita intera.

“Sa, io ero ingegnere di una importante compagnia elettrica nazionale. Quando iniziò nella nostra nazionale l’elettrificazione ero il controllore delle centrali elettriche di quasi tutto il meridione”.

Si presentò così.

“Ogni volta che finivamo di costruire una centrale elettrica eravamo soggetti al collaudo dalla sede centrale di Roma. Forse non mi crederà, ma quando vedevano la mia firma sulla fine dei lavori erano talmente sicuri della mia professionalità che non venivano neanche a controllare”.

Ed io: “Un lavoro altamente qualificativo e alta responsabilità”.

“Certo. E sono orgoglioso di tutto questo”, mi rispose.

La mia prima domanda fu più pungente, credo anche provocatoria.

“E come mai vi trovate in questa struttura?”

“Ha tempo per ascoltarmi?” mi disse. Certo. Il tempo che il mio amico si libera però.

“Stia tranquillo, lei è mio ospite questa mattinata. Non ci sono orari limitati. Siamo liberissimi di ricevere chi vogliamo”.

Più parlava e più mi addentravo.

“Mi dedica un pò del suo tempo? Le voglio raccontare la mia vita. Mi fa questo favore?”

Alla grande. Prego.

“Iniziai a lavorare in questa grande compagnia elettrica nazionale alla metà degli anni 50. Mi spostavo in ogni parte d’Italia, fino ad avere una parte della nostra nazione sotto il mio controllo professionale.

Avevo un fratello più grande di me di quasi 5 anni. Lui si sposò e da questo matrimonio nacquero 3 figli. Era un medico e la moglie una maestra.

Un triste giorno persero la vita in uno spaventoso incidente. I tre figli erano chi a scuola e chi all’asilo. Fu triste andare da loro e cercare di spiegare cosa era successo. Ma non voglio annoiarla …”

Stia tranquillo, non mi annoia. Se le fa piacere mi dica, sono tutto orecchi.

“Le dicevo dell’incidente e dei tre nipotini rimasti orfani. Mi feci carico completamente di loro. Organizzai la loro vita assieme alla mia. Misi una governante in modo che la casa avesse un senso completo di famiglia. Organizzato tutto questo, gli anni passano velocemente. Diventano grandi. Mi chiamavano sempre papà ma io gli ricordavo che ero solo lo zio. Certo uno zio con vesti da padre”.  

Poi?

“Tutti e tre hanno espletato gli studi accademici: uno medico chirurgo, l’altro economista e la ragazza professoressa in filosofia. Si inseriscono nel contesto professionale-economico alla grande. Di seguito si sposano. Che grande gioia per me vedere tutto questo. Io ero sempre presente ogni qualvolta avevano bisogno”.

Prosegua.

“Con gli anni il mio corpo non risponde più alle funzioni più elementari …”

E quindi?

“E quindi, decidono di mettermi in questa casa di riposo. Ma  attenzione. Sto benissimo qui. Mi trattano molto bene, sa?”

Si vede. E allora?

“Sa una cosa? Non volevo finire la mia vita in una casa di riposo. Volevo continuare a fare il nonno, come per i figli di mio fratello ho fatto il padre. Volevo portare i pronipotini all’asilo o a scuola. E questo, amaramente, non mi è stato permesso …”

Dagli occhi cominciano a scendere le lacrime. Il vecchietto arzillo si sta emozionando e questo mi fa venire la pelle d’oca. Lo rassicuro. Ma non basta.

“E’ triste, mi creda, essere consapevole dello stato delle cose e non poterci fare nulla …”

Continua a piangere ma senza singhiozzo, quasi con dignità.

“Le dico una cosa. Una ultima cosa. Se potessi tornare indietro cambierei quasi tutto il corso delle cose. Ma ora non posso più fare niente. Non sono buono neanche più per pisciare da solo …”.

Le lacrime scendono a fiume le sue, le mie cominciano anche …

Un forte abbraccio testimonia questo incontro.

Riflessivo. Molto …

Giovanni Caforio

 

 

 

viv@voce

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