PeaceLink a Bruxelles: “Aiutateci. Per produrre acciaio il governo ha messo a tacere la magistratura”

PeaceLink a Bruxelles: “Aiutateci. Per produrre acciaio il governo ha messo a tacere la magistratura”

Il discorso di Antonia Battaglia al Parlamento Europeo il 23 febbraio 2016

Gentile Presidente, la ringrazio per avermi invitata oggi a parlare di ILVA e Taranto in rappresentanza di Peacelink. Sono trascorsi nove mesi da quando ho aggiornato la Commissione Petizioni sulle evoluzioni della situazione nella mia città natale, Taranto.

Sono passati nove mesi ma poco o niente è cambiato, e se cambiamenti ci sono stati purtroppo essi non stati positivi. E oggi vorrei citarne alcuni, cercando di dare a quest’Aula anche il senso della profonda frustrazione che pervade i cittadini di Taranto, della sfiducia nelle Istituzioni, della delusione profonda nel continuare a constatare come il Governo non sia attento come dovrebbe alle conseguenze terribili che l’inquinamento produce sulla salute umana e sull’ambiente.

In seguito alla morte dell’operaio Alessandro Morricella, avvenuta il 12 giugno scorso per un incidente nel reparto AFO2 dello stabilimento, il gip Rosati ha convalidato il sequestro, disposto dalla Procura, dello stesso altoforno, sprovvisto dei dispositivi primari di protezione. Ma, invece di intervenire con immediatezza per ripristinare le condizioni di sicurezza, il Governo si è adoperato per mettere a tacere la Magistratura, scavalcandola e concedendo la facoltà di uso (che era stata negata) dell’altoforno stesso.

Un mese dopo, il 23 luglio, è cominciato a Taranto il processo Ambiente Svenduto, con 44 imputati di cui numerosi politici, la famiglia Riva, la più alta dirigenza dello stabilimento e del Gruppo Ilva. Il numero di cariche politiche coinvolte è sufficiente a far capire quali fossero gli interessi in gioco, i profitti che l’industria doveva continuare ad assicurare, mentre gli stessi operai ed i cittadini portavano sulle proprie spalle il peso della cosiddetta “strategicità nazionale dell’acciaio” e quello del tradimento dei rappresentanti istituzionali, implicati nel “disegno criminoso”, espressione che il Gip Patrizia Todisco ha usato per indicare ciò che avvenne (e forse avviene ancora) dentro l’Ilva e dentro i palazzi della politica tarantina, barese e romana.

I mesi sono passati e Peacelink continua a registrare ancora oggi valori preoccupanti di inquinanti cancerogeni, mentre il Governo sembra aver dimenticato quanto allarmanti siano i dati dello Studio Sentieri (+ 54% di tumori nei bambini rispetto alla media regionale), i grafici sulla mortalità in aumentoche si possono ottenere facilmente dai dati ISTAT-, il Governo sembra aver dimenticato che la stessa ASL di Taranto ha elaborato delle raccomandazioni che invitano la popolazione ad aprire le finestre soltanto tra le ore 12 e le ore 18 nei giorni in cui il vento spira da nord, dalla zona industriale, ovvero molto spesso.

I dati elaborati dai periti nominati dalla Magistratura hanno potuto certificare una relazione diretta tra inquinamento industriale ed eccesso di mortalità a Taranto. I periti hanno concluso che l’esposizione continuata agli inquinanti dell’atmosfera emessi dall’impianto siderurgico ha causato e causa nella popolazione “fenomeni degenerativi di apparati diversi dell’organismo umano che si traducono in eventi di malattia e di morte”.

A fronte di questi dati, le Autorità sanitarie non hanno prodotto, ad oggi, alcun aggiornamento che certificasse un miglioramento della situazione sanitaria. Si disegna quindi una strategia istituzionale di convincimento del fatto che la popolazione debba convivere con il male che deriva dalla fabbrica, un gusto d’epoca vittoriana di ricatto a priori, quasi la richiesta di una filosofica accettazione del destino, in barba a qualsiasi diritto e aspirazione umana.

Perché di accettare e portare a casa il pane si tratta, per i nostri operai, le prime vittime di questa visione kafkiana del diritto al lavoro. Ci preoccupano molto non solo i dati sulla mortalità in aumento, i dati sulle malattie in aumento, la logica del profitto che mangia il futuro dei nostri operai e degli abitanti soprattutto dei quartieri Tamburi e Statte, ma ci preoccupa molto anche la costante volontà da parte delle Autorità di continuare a gestire la questione Ilva come un “affaire” nel quale la salute dei tarantini è da barattare con l’acciaio di “patrio orgoglio”.

Se così non fosse, i nostri diritti varrebbero qualcosa e nessuno, ripeto nessuno, potrebbe continuare a difendere la gestione attuale dello stabilimento. L’AIA, autorizzazione integrata ambientale, non è stata mai realizzata nei suoi punti principali e più urgenti (copertura dei parchi minerali, cappe di aspirazione, messa in regola del GRF, benne ecologiche per il trasporto dei materiali, scarichi in mare, gestione dei rifiuti pericolosi).

Ma le violazioni non sussistono per la legge: perché il Governo cambia di continuo la legge, sposta le date ultime per il completamento dei lavori, e perché se un ente capace di verificare le violazioni in atto ci fosse, l’ILVA, credetemi, non potrebbe assolutamente funzionare.

Tutti i lavori dell’AIA avrebbero dovuto essere ultimati entro il 2015. Ma invece di sanzionare l’azienda, è stata modificato di nuovo il suo permesso AIA e le date limite per il suo completamento, ed è stata modificata la legge ancora e ancora affinché non partissero le sanzioni previste.

L’Articolo 8 della Direttiva EU sulle Emissioni Industriali recita: “Laddove la violazione delle condizioni di autorizzazione presenti un pericolo immediato per la salute umana o minacci di provocare ripercussioni serie ed immediate sull’ambiente e sino a che la conformità non venga ripristinata conformemente alle lettere b) e c) del primo comma, è sospeso l’esercizio dell’installazione.”

Ma si sa, in Italia a volte le dimenticanze vengono istituzionalizzate, nel caso di Taranto certamente, perché le Istituzioni regionali e nazionali continuano a dimenticare diverse cose, come la Direttiva EU, ed anche che nel penultimo decreto ILVA si fosse parlato di realizzare uno screening sulle condizioni di salute della popolazione, di potenziare l’ospedale oncologico, di dar fiato alla città con la creazione di attività turistiche e culturali, che potessero far immaginare una alternativa futura alla monocoltura siderurgica e ridare la dignità ad una città usata ed offesa nei principî primi che reggono la Costituzione Italiana.

Il nuovo decreto ILVA, divenuto legge il 1 febbraio, sposta alla primavera 2017 l’attuazione delle misure più urgenti per la protezione della salute umana. Ma poi, con quali fondi potranno essere realizzati questi imponenti lavori se le somme che il Governo stanzia dalla legge di stabilità, secondo gli slogan politici fondi finalizzati alle bonifiche, servono in realtà a mandare avanti lo stabilimento e pagarne le spese correnti?

L’Ilva, secondo stime di ben informati, perde circa due milioni di euro al giorno. Come è possibile realizzare lavori di una tale portata se i fondi sono attualmente necessari per tenere in vita lo stabilimento? Le ricadute sanitarie, economiche e sociali della permanenza in vita dell’azienda sono inestimabili.

Continuare ad alimentare con fondi pubblici uno stabilimento già fallito (i debiti ammontano già a circa 3 miliardi di euro), che produce acciaio non competitivo in un momento storico in cui la crisi colpisce ovunque la produzione di acciaio, è una scelta anti-costituzionale, che viola i diritti dei cittadini di Taranto e anche le regole europee in materia di ambiente, salute e concorrenza.

Utilizzare questi fondi per avviare un poderoso programma di bonifiche, per rendere alla città un futuro diverso e per creare un piano di sviluppo importante di attività alternative, sarebbe la scelta politica lungimirante da compiere.

La Commissione Ambiente è costantemente informata sulle evoluzioni in atto a Taranto, Peacelink continua ad alimentare il dossier con dati (spesso i dati più eclatanti sono pubblicati proprio dall’ILVA), con fotografie, con testimonianze, con video. Ma siamo fermi al parere motivato del 2014, non si è mosso nulla in questi mesi e siamo rimasti interdetti nel constatare che il tavolo istituzionale con il Governo italiano abbia rallentato di molto i lavori della Commissione stessa.

La Commissione Concorrenza ha aperto una investigazione sulla questione aiuti di stato, Peacelink ha incontrato la settimana scorsa alcuni rappresentanti della Direzione Concorrenza, apportando un dettagliato prospetto delle violazioni AIA persistenti, realizzato sulla base dei relativi rapporti ISPRA e ILVA. Sono passati già quasi quattro anni da quando l’area a caldo dell’ILVA fu posta sotto sequestro, senza facoltà d’uso, dal Gip Todisco.

Quattro anni fa furono presentati dei dati allarmanti, contenuti nelle perizie fatte per la Magistratura. Se le autorità sanitarie fossero state in possesso di dati in miglioramento, li avrebbero resi pubblici. Quattro anni in cui molte persone si sono ammalate e molte sono morte.

Quattro anni di nuovi decreti per tenere in vita l’ILVA, quattro anni persi per realizzare misure a difesa dalla salute umana, quattro anni in cui si à continuato a minimizzare sulla gravità dei processi di inquinamento in atto. Quattro anni in cui abbiamo continuato a ricevere le stesse identiche denunce, in cui gli operai lamentano le stesse violazioni all’interno dell’impianto, quattro anni in cui abbiamo scattato le stesse identiche foto di emissioni nocive in fuoriuscita sempre dalle stesse zone dello stabilimento.

Tuttora a Taranto permane il divieto di pascolo libero in un raggio di 20 km dall’ILVA, a causa della contaminazione da diossina. La contaminazione riguarda ogni parte dell’ecosistema, anche il mare, e permane quindi anche il divieto di allevamento di mitili nel Mar Piccolo nella zona più vicina all’area industriale.

Quanti altri bambini dovranno ammalarsi? Quanti altri casi di cancro, di autismo, di malattie cardiovascolari e polmonari, quanto altro affinché le Istituzioni si rendano conto che l’ILVA è una bomba ad orologeria, uno stabilimento obsoleto, non competitivo, e che tutti gli sforzi comuni e comunitari andrebbero indirizzati da subito verso un imponente programma di bonifiche di suolo, falda e mare, impiegando gli operai stessi per un periodo di circa venti anni nella realizzazione delle bonifiche stesse?

Come sopravvivrebbe Taranto? Molto bene, se si disegnasse e si realizzasse un piano di sviluppo di attività alternative alla siderurgia, come è accaduto in altre parti d’Europa. Abbiamo studiato il caso della Svezia, della Germania, del Lussemburgo. Riconversioni riuscite, portate avanti con professionalità e senza l’intervento delle mafie che hanno ucciso Bagnoli.

Taranto aspetta, è il momento di non deluderla.

Antonia Battaglia, Peacelink 23 febbraio 2016

FONTE

peacelink.it

 

viv@voce

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