A GALATINA TRA LA MAGIA E LA SACRALITA’ DEL SALENTO

A GALATINA TRA LA MAGIA E LA SACRALITA’ DEL SALENTO

Benvenuti a Ciperniola di Giuse Alemanno

Avanti ieri sera a Galatina è stato presentato il libro di Giuse Alemanno “Benvenuti a Cipìernola ovvero Don Fefè e Ciccillo coinvolti nell’intricata vicenda che riguardò la gatta immobile Brici, la lotta di classe, la sacra reliquia di Sant’Antonio Abate e la cacciata del Satanasso Gasparotto (Edizioni Città Futura). Fiordilibro libreria ed Amarcord win bar hanno inaugurato l’evento nella prestigiosa Galleria Mongiò, meraviglioso edificio storico, in piazza San Pietro, lì dov’è situata la Chiesa Matrice di San Pietro, con la sua facciata barocca di straordinaria bellezza, mentre di fronte è localizzata la chiesetta di S. Paolo che risale al VIII secolo ed è ubicata nel Palazzo Tondi. La chiesetta è definita “Cappella delle Tarantate”; sin dal Medioevo,  giungendo al XX secolo, si riteneva vi fossero eventi magici legati al tarantismo.

Dunque, i Santi Pietro e Paolo, risultano, proprio a Galatina, separati tra il sacro ed il profano, tra religione e magia, proprio come ci ha spiegato Sandra Antonica, ex sindaco di Galatina e vice segretario regionale del Partito Democratico;  soprattutto donna di grande cultura che ha aperto l’evento e presentato il romanzo di Giuse Alemanno, mostrando, in questa occasione, di poter rappresentare e penetrare intimamente una società magica e reale allo stesso tempo, come quella  del Salento e come narrano, le vicende stesse del libro di cui parliamo.

Il romanzo racconta, in parte, le vicende di Don Fefè, personaggio già presente nel precedente libro “Le vicende notevoli di Don Fefè, nobile sciupafemmine e grandissimo figlio di mammaggiusta, e del suo fidato servitore Ciccillo” (Icaro Edizioni) che rappresenta un po’ il padrone, il nobile interessato esclusivamente ai suoi affari e ci parla, questa volta, anche del suo servitore Ciccillo, un po’ più in dettaglio.

La storia si apre magistralmente con una sintesi schietta, ma rappresentativa di una società in cui, tutti, ci riconosciamo o per nostra attuale tradizione o per quella evocativa dei nostri nonni o parenti:

Domenica: Purpetti.

Questo comandava da sempre Don Fefè, e saìetta se vi fosse stata una delle cinquantadue domeniche dell’anno che le polpette non impreziosissero il desco di Palazzo Rizzo Torregiani Cìmboli. Le polpette erano il capolavoro della Tecla, era lei a curare impasto, incocolamento e frittura.

La Tecla e Carmela rappresentano nel romanzo la servitù femminile della casa di Don Fefè.

Le polpette della Tecla simboleggiano il potere delle donne che non sono mai serve per davvero. Il padrone in passato era stato suo amante; poi si stancò di lei come da copione. Ma viene fuori nella storia, che  lei lo ha tradito e molto altro emergerà dalle vicissitudini delle due donne. Cose che restano oscure immagini, nella cospirazione femminile, mentre l’uomo, gli uomini a volte, non si accorgono di nulla, sentendosi invece illusori padroni. Si tratta di una servitù, quella di Tecla e Carmela, che ha tutte le caratteristiche delle donne del sud, forti, risolute e capaci in passato, di obbedire, ma al contempo di creare e risolvere altre situazioni al di fuori del controllo maschile, come apparirà nel romanzo.

Le due donne infatti accolgono la gatta Brici, appartenente alla vedova Maria Testa che doveva operarsi. La signora in questione è così rappresentata nel testo:

“ …..vuolsi che la vedova convivesse con una gatta, Brici, e una marea di silenti calunnie provocate da una certa sua ospitalità ad un giovanotto di Cipernìola che le entrava circospetto e ne usciva  spossato e giulivo:” Rocco Carone”. 

Rocco Carone,  segretario della  Camera del Lavoro di Cipernìola, nella storia, è un personaggio chiave, perché quando la sua amante sarà ricoverata, l’astinenza prolungata dall’attività sessuale, farà accrescere in lui, la veemenza politica; ed è in questo contesto che appariranno, nel romanzo, le vicende politiche ed il comizio, a cui parteciperanno l’onorevole Giuseppe Calasso e la moglie Cristina Conchiglia, coniugi  realmente esistiti ed impegnati in difesa dei contadini, invitati dalla sezione del PC a fare un comizio pubblico.  Ricordiamo che il romanzo è ambientato, durante la crisi per il prezzo dell’uva da vino, che andò in ribasso tra il 1956 ed 1957. Il crollo dei prezzi ebbe, tra le diverse cause, come ci ricorda Giuse Alemanno, le speculazioni dei compratori del Nord Italia, ma anche la grande ottusità istituzionale dei governi italiani di allora.

Nella realtà le province di Lecce e Brindisi furono caratterizzate da dure ribellioni da parte degli agricoltori e dei contadini ridotti alla povertà totale. Torchiarolo, San Pietro Vernotico, Cellino San Marco e San Donaci, luogo in cui, drammaticamente, il 9 settembre 1957, il Commissario Luigi Ratemi, con 25 agenti di scorta,  annegarono nel sangue, la disperazione dei contadini e di chi chiedeva solo il pane.

E fu così che la protesta dal basso si verificò anche a Cipernìola, luogo celebrato nel romanzo di Giuse Alemanno, luogo che in realtà è la terra manduriana.

Viene infatti rappresentato un comizio, splendidamente raccontato, come i tanti comizi delle nostre province, con la descrizione di quei commenti, di quelle reazioni, atteggiamenti e  volti che tutti conosciamo, perché appartengono alle nostre province. Ma viene allertata la stazione di Sicurezza di Cipernìola. 

Durante il comizio si svolge un altro evento che deriva dalla presenza della gatta Brici in casa di Don Fefè; sin dall’inizio la gatta crea problemi a Tecla e Carmela, perché ruba la carne appena acquistata.

E’esilarante l’immagine delle due donne; la scrittura che diviene immagine reale di un inseguimento e di una serie di danni e di scivolate e di impetuose imprecazioni.  Le signore stanno per colpire la gatta, ma interviene Don Fefè ad evitare l’accoppamento.

Successivamente la gatta resta immobile davanti ad una parete sulla quale non c’è nulla, ma forse c’era stata una reliquia, un quadro di Sant’Antonio Abate. Gatta in preda dei Santi o di Satana? Ed è questo il colloquio ed il dilemma in proposito:

“-Demonio affascinatore deve essere, Carme’ca ci no Don Fefè no m’era fermata la mano all’ultimo momento. Invece….ppà! Proprio quando li sta dava na botta cu la patella Don Fefè me bloccata. Secondo te poteva essere un caso? Una combinazione? No, no….è stato il demonio, te lo dico io, cu salva la vita a quella muscia malitetta. E mò, non vedi, già c’è chi la protegge quella mùcita “per devozione a Sant’Antonio”. E’l’inganno, Carmè, è l’inganno del demonio che fa diventare il male bene e il bene male”

Le due donne allora ricorrono ad un particolarissimo personaggio che le convince, vivendo lui di espedienti, a fare una processione, per poter poi speculare. L’uomo viene così descritto:

“SANTA PARA’  A’ A’  …..  SANTA PARANZA A’ A’ A’    Il soggettone lungo, mazzo e con gli occhiali di cicato a culo di bottiglia ricomparve sotto la pergola di casa in campagna di Santa Paranza.”

E poi ancora, altri personaggi comici ed al contempo  amabili, nella loro genuinità, ma non certamente immuni da piccole meschinità, rischiano di creare grandi tragedie, come le storie vere dimostrano.

In occasione del comizio, infatti, essi scatenano una probabile miccia. Ed ecco dunque, il maresciallo Antonio Spada, anche poeta e dunque sminuito nel suo ambiente di lavoro, da questo aspetto di sensibilità mal compresa, che cerca di farsi bello coi superiori e quando si rende conto del comizio esistente, denuncia i comunisti ed i sovversivi che avevano la velleità di ribaltare lo stato sociale.

 Così, egli impone al brigadiere Villa, detto “Camillone” a causa della sua stazza portentosa, di scrivere una lettera al Prefetto, una lettera che fa pensare a Totò Peppino e la Malafemmina quando ne viene descritta la dettatura tra i due uomini, eroi di azioni e di colloqui grotteschi.

Un personaggio basilare per l’autore del romanzo, come lui stesso afferma, è Zio Leone, un padrone, un capo dei capi, un fascista reo di aver recato violenza ad un omosessuale in modo bieco, ma che nella storia si rivela dispensatore di norme di vita nei confronti di Don Fefè;  Zio Leone è un personaggio che vive nella moderna Parigi e che affronta sapientemente il futuro. È un uomo concreto che chiama il nipote Don Fefè e Ciccillo al suo cospetto, rivelando informazioni in suo possesso e dando regole nuove ed antiche di vita, perchè  Don Fefè, a suo parere, è un inconcludente.

Incomparabile è la descrizione del pranzo che a Parigi i commensali consumano in un clima teso e rispettoso, ma per noi lettori epico:

“La portata di piatti in ceramica di Grottaglie decorati da un galletto stilizzato aspettava li pizzarieddi cotti al dente…. . Minisciati che furono, vennero coperti da una montagna bianchissima di casuricotta della masseria Tostini, quella sulla strada vecchia tra Ciperniola e Francavilla Fontana.”

 Linguaggio antico, linguaggio nuovo, linguaggio noto o scoperta di originalità nella creazione di una lingua che lo scrittore possiede dentro di sé, perché come lui dice “la scrittura, l’arte è verità, onestà verso sé stessi e verso gli altri”. Il lettore infatti percepisce la verità, perché, come in questo caso, riesce ad identificarsi nella storia, dimenticando sé stesso. Quasi non si accorge che sta leggendo un racconto, un qualcosa altro da sé. E’ lì in quel contesto, in quel paese, non è più a casa nel suo salotto.

Giuse Alemanno, durante la presentazione del suo libro afferma: “Tenere agganciato il lettore: questo è ciò che cerco di fare. Leggo continuamente, più che scrittore sono un lettore accanito, cerco di impadronirmi delle tecniche narrative. Il mio alternare dolcezza ed asprezza, iperboli lessicali, linguaggi locali alternati a modi colti di dire,  sono  sistemi per agganciare il lettore; è come indurre a produrre adrenalina.  Anche il dolore produce adrenalina, così come l’allegria, così come la scrittura può fare: dalla prima all’ultima pagina deve esserci l’adrenalina. Dunque la scrittura deve scorrere rapida. È importantissimo per me non provocare noia. “

Il suo linguaggio è in effetti, nel romanzo, una mescolanza tra la cultura contadina e quella dell’elite ed in entrambi i casi produce immedesimazione in ognuno di noi. Lo ha letto con velocità il lettore principiante e che possiede solo naturalezza nel dialetto, ma si è entusiasmato anche l’intellettuale raffinato, avido di scorgere la cultura non urlata, ma sapientemente scolpita ed eterna.

MARIA LASAPONARA

 

 

 

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