“L’uomo che è rinato due volte” può e deve rinascere ancora, per una speranza ragionevole che fa vivere meglio

“L’uomo che è rinato due volte” può e deve rinascere ancora, per una speranza ragionevole che fa vivere meglio

In un periodo di crisi continua, un buon libro, molto umano, come quello di Enzo Mastromarino, edito Vertigo

E, anche se come si legge a pagina 17 alcune volte la fede sembra non bastare, dà origine ad atteggiamenti inaspettati e capacitanti :”Teresa era sorretta da una fede, anche questa non ostentata, sobria, ma certe volte la fede non basta, quando devi far quadrare tante cose (…)  Quella stessa fede si può rivelare in comportamenti inusitati. Il silenzioso Antonio lasciò il campo a una persona determinata, che seppe prendere in mano la situazione”. (…) “La donna (Teresa), che fino allora era stata quella che aveva dato coraggio a tutti, si sentì più umana, proprio nella sua debolezza;”. O a  pagina 19 “Marco si presentava un bambino non facile, ma le situazioni si risolvevano in una maniera insperata…” .

Antonio e Teresa, i personaggi principali del libro, sono uno di noi. La grandezza e la sacralità del quotidiano, che può rendere più umano l’umano con tutti i suoi limiti, che non lascia da parte nulla, e salva tutto, emerge con intensità e profondità, in ogni frase.

La ricchezza della normalità del quotidiano da cogliere in ogni istante è il tema principale del libro, anche se sullo sfondo si colgono spunti su vicende locali ormai alla ribalta nazionale, come quelle dovute all’Ilva e alle sue conseguenti incidenze sociali, ora rivelatesi negative, però  inizialmente apparse a tutti provvidenzialmente positive.

O come quelle sull’emigrazione dei propri figli al nord per studio e lavoro, problema tipico del sud a partire da un certo periodo storico, ma che ora è a carattere non più solo locale, ma nazionale, coinvolgendo tutti gli italiani nella ricerca di soluzioni all’estero. 

Un libro condensato in sole 35 pagine che volendo potrebbe quindi portare ad aprire e scrivere innumerevoli e illimitate altre pagine di riflessioni a vario titolo su temi importanti appena toccati dall’autore, che potrebbero portare a importanti giudizi  approfonditi storico-sociali di vita reale di una comunità del sud, quella di Taranto e non solo, e di un’ epoca, quella degli anni Sessanta.

Ma di tutti questi temi, il più importante è quello dell’amore, della speranza vera che ne consegue e che cambia la vita,  e che continuamente fa rinascere, indipendentemente dai risultati piacevoli o spiacevoli, felici o drammatici che siano…come si legge per esempio a pagina 11 : “l’amore lo aveva fatto rinascere. (…) Non si dava spiegazioni, la vita lo aveva riscattato, dandogli la possibilità di rinascere con il lavoro, l’amore lo aveva fatto rinascere un’altra volta… facendogli vivere sensazioni, che mai avrebbe pensato di poter conoscere.” E a pagina 13 : “L’amore che era arrivato, così inaspettato, come se fosse immeritato, adesso lo sentivano più forte, nessuna forza lo avrebbe potuto abbattere”.

L’amore, la speranza e la gioia vera non sognata, che ne consegue, che fa vivere meglio umanamente la propria vita. A  pagina 14 si legge: “Ma questo è un sogno o la realtà? (…) Non era un sogno: Antonio da uomo buono, quale era, lavoratore, amante delle cose belle e semplici, viveva adesso meglio la sua età, la sua vita.”  

Amore e speranza che non possono essere bloccati,  neanche dai nefasti e drammatici eventi che la forgiano, come nel libro accade con la morte improvvisa di Teresa. “Gli  anni passavano, come in tante famiglie, apparentemente tutti uguali, come a volte sembra uguale la vita, non accorgendoci che ogni giorno è diverso, se non ce lo viene a ricordare qualcosa di brutto o di bello a seconda dei casi.” (a pagina 15) (…) “Era una vita sempre uguale e pur sempre nuova.” (pagina 16).

Una speranza che se anche alla fine, non si risolve con il miracolo della sopravvivenza al tumore per Teresa, in definitiva, non può morire, fa combattere e può far rinascere vittoriosamente  ogni volta. Tanto che in merito al viaggio a San Giovanni Rotondo per chiedere la grazia a Padre Pio, l’autore scrive: “Non mancarono le scenate, la voglia di tornarsene a Taranto, tanto era tutto inutile…Ma dovevano tentare, tornarsene  a che serviva? Dovevano combattere. Persero o vinsero. Chi può dirlo…” (pagina 27-28).

Bene, una vita quindi quella dei personaggi del libro, che si dimostra esemplare e ricca di valori autentici, da recuperare se ci si vuole salvare da un mondo che sembra stia andando sempre più giù a rotoli e dare più senso alla propria vita e più spazio all’umano che c’è in noi.

E a completamento del libro, possiamo aggiungere che la vita di Antonio e Teresa è tanto esemplare che risulta la testimonianza di quello che si legge nella lettera enciclica di Benedetto XVI, Spe Salvi. ”Ogni agire serio e retto dell’uomo è speranza in atto. Lo è innanzitutto nel senso che cerchiamo così di portare avanti le nostre speranze, più piccole o più grandi: risolvere questo o quell’altro compito che per l’ulteriore cammino della nostra vita è importante; col nostro impegno dare un contributo affinché il mondo diventi un po’ più luminoso e umano e così si aprano anche le porte verso il futuro. Ma l’impegno quotidiano per la prosecuzione della nostra vita e per il futuro dell’insieme ci stanca o si muta in fanatismo, se non ci illumina la luce di quella grande speranza che non può essere distrutta neppure da insuccessi nel piccolo e dal fallimento in vicende di portata storica” e  che ci porta ad accettare la novità bella o brutta che sia, anche se in quest’ultimo caso è molto più difficile accettarla.

E sulla sofferenza: “Possiamo cercare di limitare la sofferenza, di lottare contro di essa, ma non possiamo eliminarla. Proprio là dove gli uomini, nel tentativo di evitare ogni sofferenza, cercano di sottrarsi a tutto ciò che potrebbe significare patimento, là dove vogliono risparmiarsi la fatica e il dolore della verità, dell’amore, del bene, scivolano in una vita vuota, nella quale forse non esiste quasi più il dolore, ma si ha tanto maggiormente l’oscura sensazione della mancanza di senso e della solitudine. Non è lo scansare la sofferenza, la fuga davanti al dolore, che guarisce l’uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa di maturare, di trovare senso” e rinascere di nuovo, aggiungiamo noi, sempre, tutte le volte che si muore.

Vito Piepoli

 

viv@voce

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