I delitti ambientali nel codice penale: una riforma di civiltà

I delitti ambientali nel codice penale: una riforma di civiltà

Rossella Muroni, direttore generale Legambiente: “Un’inadeguata legislazione ambientale ha permesso la devastazione del territorio a Taranto, nella Terra dei Fuochi e in tante altre zone del nostro paese. Urgente aggiornare le norme per scongiurare nuovi ecocidi”

I tanti disastri ambientali, a partire da quello di Taranto, con tutte le conseguenze sanitarie e ambientali, forse si sarebbero potuti evitare. Dopo vent’anni di attesa speriamo che questa legislatura sia quella giusta per dotare il nostro paese di una adeguata tutela penale dell’ambiente, necessaria premessa per affrontare in maniera più efficace le diverse forme di criminalità ambientale ed ecomafiosa, causa principale di disastri ambientali e sanitari che sfregiano l’Italia, da un capo all’altro dello stivale.

L’occasione concreta è l’approvazione in Parlamento, in tempi rapidi, di un testo coordinato che sintetizzi i due disegni di legge già presentati nelle competenti commissioni, a firma rispettivamente dei deputati Ermete Realacci e Salvatore Micillo. Passo necessario per realizzare ciò che Legambiente definisce, senza eccesso di enfasi, una riforma di civiltà. Pensata e voluta nell’interesse di tutti e che, adesso, per concretizzarsi ha bisogno del massimo sforzo da parte delle forze politiche. Una riforma necessaria, quindi, e non più procrastinabile.

Di questo si è parlato a Roma nel corso di un convegno organizzato da Legambiente e coordinato dal giornalista Fabrizio Feo, cui hanno partecipato il direttore generale di Legambiente Rossella Muroni, il procuratore della Direzione nazionale antimafia Franco Roberti, il presidente nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza, il direttore generale di Libera Enrico Fontana, il presidente della commissione Ambiente della Camera dei deputati Ermete Realacci, la presidente della commissione Giustizia della Camera dei deputati Donatella FerrantiLoredana De Petris della commissione Affari costituzionali del Senato della Repubblica, Salvatore Micillo della commissione Giustizia della Camera dei deputati e Fabio Granata di Green Italia.

La riforma di civiltà che invochiamo da tempo – ha dichiarato il direttore generale di Legambiente Rossella Muroni – parte proprio dall’inserimento nel Codice penale, con l’aggiunta di uno specifico Titolo, dei delitti contro l’ambiente, ponendo rimedio alla situazione attuale di disordine normativo con norme sparse in diversi testi unici, codici, decreti legislativi etc. Un intero Titolo, quindi, che possa disciplinare con pene efficaci, proporzionate e dissuasive – come ci chiede l’Europa – alcune fattispecie specifiche”.

Tra queste Legambiente individua l’inquinamento e il disastro ambientalei delitti ambientali in forma organizzata, la frode ambientalel’impedimento al controllo, il ravvedimento operoso; così come le pene accessorie, come la confisca e l’obbligo di bonifica e di ripristino dello stato dei luoghi. Una siffatta riforma verrebbe incontro alle richieste di tutti coloro che a vario titolo si occupano di tutela ambientale.

Il nostro Paese non è più in condizione di attendere. Fino a oggi è stata consentita la sistematica devastazione del territorio e degli ecosistemi, grazie a una legislazione penale ambientale sostanzialmente contravvenzionale, senza alcuna capacità deterrente e con la garanzia di immunità per i responsabili.

Ad esempio, è stato possibile creare le condizioni perché negli ultimi trent’anni si realizzasse in Campania, nella cosiddetta Terra dei fuochi, ciò che gli inquirenti non hanno esitato a definire una Chernobyl tutta italiana. Ma potremmo anche ricordare gli incalcolabili danni ambientali consumati a Taranto, a causa dei processi produttivi dall’Ilva, nella Valle del Sacco, nella Valle Bormida, a Porto Marghera, e in decine e decine di aree industriali lungo la penisola. 

A fronte di questa sistematica e crescente aggressione al nostro territorio, che ha visto saldarsi alleanze scellerate tra criminalità organizza e non, pezzi di mondo economico e delle professioni, funzionari pubblici e politici, la nostra legislazione penale è rimasta al palo, confinata nel solco delle fattispecie contravvenzionali e non delittuose, con tutti i suoi limiti: nessuna pena reclusiva prevista, ma solo l’arresto in flagranza; la previsione di una ammenda, spesso poco più di una manciata di euro, a carico di veri e propri criminali; tempi di prescrizione bassissimi che spesso impediscono ai processi di arrivare fino in fondo; impossibilità di usare adeguati strumenti investigativi (intercettazioni telefoniche e ambientali); impossibilità di chiedere rogatorie internazionali, frenando di fatto molte indagini, visto che lo scenario della criminalità ambientale è sempre più transnazionale. Così, ancora oggi, se nel caso di un piccolo furto si rischia il processo per direttissima, nel caso di reati ambientali la clemenza del legislatore continua ad essere massima.

Ogni anno nel nostro paese vengono accertati oltre 30mila reati contro l’ambiente, quasi 4 ogni ora. Si tratta però solo della punta di un iceberg, una minima parte rispetto a ciò che accade realmente: discariche abusive, cave illegali, inquinamento dell’aria e scarichi fuorilegge nei corsi d’acqua, traffici di beni culturali e truffe agroalimentari, incendi del patrimonio boschivo, solo per citare i casi più ricorrenti. Come già detto, si tratta quasi sempre di reati che vengono sanzionati in maniera assolutamente inefficace e con tempi di prescrizione estremamente brevi, vanificando in questo modo il lungo e faticoso lavoro degli inquirenti.

L’introduzione dei delitti contro l’ambiente nel Codice penale sarebbe anche il modo per allineare l’Italia agli standard europei, rispettando lo spirito della Direttiva comunitaria 99 del 2008, recepita solo formalmente nel nostro paese (fatta eccezione per la previsione della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche), che ha chiesto a ciascun paese membro di dotarsi di sanzioni adeguate, proporzionate e dissuasive nel campo della tutela penale dell’ambiente. Fino a quando non saranno soddisfatte queste tre condizioni, infatti, l’Italia, che può “vantare” un fenomeno come quello dell’ecomafia senza pari nel resto d’Europa, non potrà dire di avere avviato una reale ed efficace azione di contrasto a questa forma di criminalità.

 

viv@voce

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