INCONTRO PUBBLICO DI SEL . TEMA SULLE POLITICHE AGRICOLE

«C’è la crisi, è crisi dura, colpisce tantissimi, ma non lasciamoci travolgere e torniamo alle cose vere. Dobbiamo tornare a fare l’orto. Solo l’orto ci salverà»

 

Sono parole di Mauro Corona, scrittore, alpinista, scultore, nonché teorico nostalgico dell’Arcadia e di quel mondo idilliaco fatto di persone buone che lavorano in perfetta armonia con la Terra e con i suoi prodotti generosi. Uso questa introduzione per provare ad agganciarmi al tema dell’incontro pubblico avvenuto ieri sera, presso la sala Amphipolis di Sava. Incontro organizzato dagli esponenti locali di Sinistra Ecologia e Libertà sul tema delle politiche agricole messe in atto negli ultimi anni dall’amministrazione pugliese e di quelle che saranno le prospettive future. Non a caso, a presidiare l’evento c’era l’assessore regionale alle Risorse Agroalimentari, Dario Stefàno, capolista al Senato in Puglia per le imminenti elezioni Politiche.

Cos’hanno in comune in materia di produzione agricola il bucolico Corona e l’assessore Stefàno? Sarei tentato dal dire una visione ingenua o sin troppo fiduciosa rispetto alla realtà dei fatti. Ma sarei ingeneroso con entrambi o con almeno uno dei due. Perché viene da chiedersi questo: ha davvero senso puntare sull’agricoltura in questo periodo di crisi? Si riuscirà a riportare una generazione, cresciuta non col mito della campagna ma dello studio o (trascurando ipotesi peggiori) di qualunque altro tipo di lavoro, ad occuparsi della terra? I dubbi sulla questione restano.

Però c’è un punto sul quale vale la pena ragionare. Dice bene Stefàno quando afferma che “scontiamo cinquant’anni nei quali l’agricoltura in Puglia è stata vista come un fardello ereditario dal quale liberarci”. Ecco, appunto, la generazione allontanata dai campi di cui parlavo, che a sua volta ha allontanato la successiva generazione. In cambio di cosa? Modernizzazione, industrializzazione, globalizzazione? Comunque la si voglia chiamare, a Taranto e in provincia, la conosciamo con un solo nome: ILVA. E allora, sì, che vale la pena cercare delle alternative, compresa quella di una nuova sfida politica nel settore agricolo.

Si badi bene che la via da battere non è quella teorizzata da Corona, secondo la quale «dobbiamo essere tutti dei minicontadini». In queste parole c’è solo poesia (per chi vuole coglierla) e tanta nostalgia. Sappiamo bene che oggi un piccolo imprenditore agricolo deve fare i conti con un mercato più vasto e molto più complesso che nel passato, un mercato, in alcuni casi sleale, ma altamente competitivo. Perciò l’unica soluzione sarebbe quella, dice Stefàno, “di incentivare il processo aggregativo di cooperative di settore”, le sole in grado di competere sui mercati agricoli europei e mondiali. In che modo? Ad esempio “investendo – propone ancora Stefàno – sui vitigni autoctoni, che raccontano l’unicità della nostra terra e rifiutando la standardizzazione del prodotto”, come invece vorrebbe la Comunità Europea. Insomma, l’idea è quella di puntare sul marchio “Puglia”, garantendo un prodotto lavorato secondo metodi in linea coi principi legati all’agricoltura sostenibile e al rispetto dell’ambiente.

Stefàno prosegue il suo discorso dicendo che negli ultimi anni il governo della Regione ha puntato molto sul concetto di agricultura, inteso come “recupero della tradizione agricola come elemento identitario”. Su questo e sui risultati ottenuti dall’amministrazione (dati alla mano, va dato atto della crescita dell’export agricolo negli ultimi bilanci pugliesi) non ci sarebbe nulla da dire. Ma il dubbio resta un altro: come convincere i giovani a puntare sul mercato della Terra? Quali garanzie sul proprio investimento in un periodo come questo? Prima di tutto, penso, bisognerebbe convincere i giovani a non abbandonare la Puglia, o persino l’Italia, perché purtroppo è quello che sta accadendo da un po’ di tempo.

Basta farsi un giro per le campagne tarantine per accorgersi dei tanti terreni incolti o abbandonati e per rendersi conto del potenziale disperso. Terreni, che molto spesso finiscono poi nelle mani di grossi investitori da fuori (o peggio, speculatori) con l’obbligo di fatturare a discapito della qualità del prodotto o dei diritti dei lavoratori. Ma questa è un’altra storia e non sarebbe giusto parlarne ora. Quindi, meglio tornare al coltivare l’orto: tanto l’orto mi salverà!

Salvatore Piccione

 

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