PARABITA (LE).18.08.2012. IL VILE AGGUATO, L’OMICIDIO DI BORSELLINO RACCONTATO DA ENRICO DEAGLIO

PARABITA (LE).18.08.2012. IL VILE AGGUATO, L’OMICIDIO DI BORSELLINO RACCONTATO DA ENRICO DEAGLIO

Borsellino: “Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”

“A Paolo Borsellino, spazzato via venti anni fa da un’autobomba sotto casa di sua madre, in via D’Amelio a Palermo, piaceva citare dal Giulio Cesare di Shakespeare la frase secondo cui “è bello morire per ciò in cui si crede. Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”. È un paradosso terribile che questi venti anni abbiano condannato proprio lui a morire molte volte, ucciso in innumerevoli versioni da colpevoli sempre diversi: “È stato Scarantino. No Spatuzza. È stato Riina; no, i fratelli Graviano. La polizia ha imbeccato Scarantino per proteggere i veri colpevoli. È come piazza Fontana. È stato lo Stato, lo Stato Mafia, la Mafia Stato; il Doppio Stato. È stato Berlusconi, o perlomeno Dell’Utri.

Sono stati i servizi. Deviati. No, quelli ufficiali. Sono stati Ciancimino e Provenzano. Sono stati gli industriali del Nord. È stato il ministro Mancino. Sono stati i Carabinieri. È stato il signor Carlo (ma chi è il signor Carlo?). È stato tradito da chi gli stava vicino. La sua morte era necessaria alla trattativa. Anzi, era l’essenza della trattativa. (A proposito – cos’è che stavano trattando?) È stato un volontario, lucido sacrificio di Borsellino che si è offerto come vittima per salvare la sua famiglia. È stata la prova della potenza infinita di Cosa Nostra a cui nessuno può sfuggire. È stato il Fato, del quale era in balia. È stata Palermo, un’intera città che lo ha espulso. Sono stati gli italiani: questo gregge meschino, impaurito, egoista e senza memoria”. Il fatto è che l’omicidio di Borsellino è ormai diventato uno di quei buchi neri della storia italiana, simile in questo al rapimento Moro, in cui come in un gorgo si annodano e si raccolgono tutti i misteri, i protagonisti, le inconfessabili verità di un paese che ha sempre avuto molto da nascondere, in primo luogo a se stesso».

Il nostro giornale ha incontrato Enrico Deaglio giornalista, a Parabita (Le) sabato 18 agosto in un piazza storica del Comune salentino, nella presentazione del suo nuovo libro a ventanni dalla morte di Paolo Borsellino. L’incontro con il pubblico ha dato seguito, dal palco, ad un interessante dibattito in cui la giornalista Sonia Cataldo ha introdotto e moderato gli interventi dal palco. Presenti oltre Deaglio, anche un magistrato del Tar del Lazio e il sindaco del luogo. Ma chi è Enrico Deaglio? Giovane medico che lascia a soli 30 anni la materia scientifica per abbraccia quella umanistica. Ha lavorato per La Stampa, Il Diario, per il Manifesto e per l’Unità ma l’esperienza che più lo ha emozionato è stata quella a Lotta Continua, un giornale militante che ha diretto a soli 30 anni.

Si definisce un privilegiato perché ha sempre potuto scrivere quello che voleva e parla del giornalismo con lo stesso spirito che aveva trent’anni fa, la stessa passione, lo stesso ardore.
Con Lotta Continua Enrico Deaglio si schierò apertamente a favore della trattativa fra Stato e Br per la liberazione di Moro, trattativa che poi, come tutti sappiamo, non ci fu. Oggi si occupa di un’altra trattativa, più scottante ma altrettanto macabra: la trattativa fra Stato e Mafia.
Il libro edito da Feltrinelli si chiama Il vile agguato, singolare è la genesi della scrittura. L’autore vive metà dell’anno negli Stati Uniti ma da buon giornalista legge tutto ciò che gli capita tra le mani. Una notizia da un rigo annunciava che dopo vent’anni di inchieste il nuovo testimone del caso Borsellino, Salvatore Spatuzza, aveva finalmente fatto il nome della talpa che aveva aiutato la mafia a mettere la bomba in Via D’Amelio: Salvatore Vitali.
Vent’anni di inchieste confuse, di menzogne, di boicottaggi e a nessuno è venuto in mente di indagare su Salvatore Vitali, un mafioso che conoscevano tutti e guarda caso abitava proprio nel palazzo dove risiedeva la madre di Borsellino.
Quel fatidico 19 luglio il giudice doveva portare la mamma dal medico, Salvatore Vitali scende in strada e fa sgomberare il marciapiede, c’erano dei bambini che giocavano, pochi minuti dopo il giudice viene fatto saltare in aria da una bomba insieme agli uomini della scorta.
Una strage che secondo il giornalista avrebbe fatto comodo sia allo Stato che alla Mafia, anzi era il fulcro stesso della trattativa. Paolo Borsellino, infatti, era un uomo scomodo, un bravo giudice che non sapeva proprio chiudere un occhio così era meglio per entrambe le parti che sparisse. Il giudice era l’unico in grado d’impedire la famosa trattativa tra Stato e Mafia, di cosa trattassero poi non si sa. Le verità riemergono sempre ma il nostro è un popolo che dimentica subito, che sa passare oltre e spesso lo fa troppo facilmente ma Borsellino è una ferita che brucia ancora talmente tanto che se ogni libro è memoria del suo tempo, il nostro ricordo è strettamente legato alle bombe e ad una verità che per troppo tempo ci è stata taciuta.

Anna Impedovo

viv@voce

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